Una quota significativa di pazienti post-ictus, compresa tra il 16% e l’85%, sviluppa sintomi psicosociali come depressione, ansia, stress, affaticamento o ridotta qualità della vita. Per contrastare queste condizioni, è cruciale l’intervento infermieristico tramite valutazione mirata, formazione di pazienti e caregiver e un adeguato follow-up.
Il ruolo dell’infermiere nel post-ictus
Dopo un ictus, le ripercussioni sulla salute mentale ed emotiva possono essere tanto invalidanti quanto le sue conseguenze fisiche.
Secondo una nota dell’American Stroke Association (costola dell’American Heart Association), le evidenze raccolte tra il 2018 e il 2023, mostrano che una percentuale compresa tra il 16% e l’85% dei sopravvissuti ad un ictus possono sviluppare sintomi psicologici dalla depressione all’ansia, dallo stress all’affaticamento, fino a un peggioramento della qualità della vita in generale.
Le linee guida incoraggiano lo screening regolare e precoce di queste condizioni, nonché interventi mirati da parte del personale sanitario. L’infermiere, in particolare, ha un ruolo cruciale nell’identificare i segni, creare un ambiente sicuro e informare pazienti e caregiver, contribuendo così a migliorare il recupero funzionale ed emotivo.
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L’impatto dell’ictus nella salute mentale
Tra le condizioni più comuni dopo un ictus c’è la depressione, che colpisce circa un terzo dei pazienti, spesso già entro i primi tre mesi. I suoi sintomi possono essere difficili da riconoscere, ma il loro impatto è profondo: rallentano il recupero e aumentano il rischio di recidive.
Le raccomandazioni AHA/ASA raccomandano lo screening sistematico, anche attraverso strumenti standardizzati, con un approccio proattivo che coinvolga famiglia e caregiver.
Lo stesso vale per lo stress post-ictus e il disturbo post-traumatico da stress (PTSD), che interessano fino al 16,5% dei pazienti: l’educazione alla gestione dell’ictus, le tecniche di mindfulness e la valutazione dello stile di coping diventano strumenti chiave per l’intervento infermieristico.
L’ansia, che può colpire oltre un paziente su tre entro cinque anni, è spesso legata a fattori socioeconomici e sanitari: qui lo screening tempestivo e l’accesso a trattamenti specifici sono fondamentali, anche se restano necessarie ulteriori ricerche su protocolli mirati per l’ansia post-ictus.
Gli interventi infermieristici contro l’abbassamento della QdV nel paziente
La stanchezza cronica post-ictus è un’altra condizione diffusa, con sintomi che vanno ben oltre la semplice “spossatezza” e che possono compromettere seriamente la capacità di condurre una vita autonoma.
Le donne e i pazienti con comorbidità psichiche e fisiche sono maggiormente a rischio. Anche se le opzioni terapeutiche sono ancora limitate, il potenziamento della forma fisica sembra avere un ruolo protettivo. Infine, la qualità della vita resta un indicatore trasversale dell’efficacia della riabilitazione.
Fattori fisici (forza, linguaggio), psicologici (ansia, depressione), sociali e lavorativi concorrono a determinarla. In questo senso, le attività fisiche a componente relazionale – come lo yoga o il tai chi – si sono dimostrate utili.
L’infermiere può orientare i pazienti verso risorse comunitarie e gruppi di supporto, contribuendo così al recupero funzionale.
La raccomandazione è quindi chiara: migliorare il supporto psicosociale non è un accessorio della riabilitazione post-ictus, ma parte integrante del percorso di cura.
E l’infermiere, grazie alla sua vicinanza al paziente e al suo ruolo educativo e relazionale, è nella posizione ideale per guidare questo processo.
Autore: Dario Tobruk (seguimi anche su Linkedin – Facebook – Instagram – Threads)
Fonte dell’articolo: American Heart Association. (2024, August 19). Nurses play key role in addressing mental well-being for people after a stroke. Consultato giorno 31 luglio 2025. [Link: newsroom.heart.org/].
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