Ci sono sempre più infermieri lombardi che, stanchi delle miserabili condizioni lavorative ed economiche che sono costretti a subire qui in Italia, scelgono di attraversare il confine e di andare a lavorare ogni giorno nel vicino Canton Ticino.
Le statistiche, infatti, confermano che nel 2021 gli operatori sanitari frontalieri sono aumentati almeno del 5,5%, arrivando a circa 4000 lavoratori totali. Un trend che cresce in modo costante, fortificato non poco dalle fasi più difficili della pandemia in cui secondo l’ente cantonale addirittura il 12% del personale sanitario nelle strutture pubbliche (con picchi del 30% in quelle private!) era rappresentato da frontalieri.
Come spiegato dal presidente OPI di Lecco (Fabio Fedeli) a Sanità Informazione (VEDI), l’emorragia è causata in primis dallo scarso appeal che la professione ha qui in Italia: «Essere vicini alla Svizzera, un paese attrattivo da questo punto di vista, ha incentivato negli anni ancor più la fuga in particolare dalla Lombardia e dalle provincie di confine come Lecco, Como e Varese.
La pandemia si è quindi innescata su un terreno già fertile ed ha contribuito in maniera significativa ad accrescere questa tendenza, mentre le strutture oltre confine sono diventate più ricettive per migliori condizioni remunerative e sviluppo di carriera».
Già, perché guadagnare dai 4000 ai 5000 franchi svizzeri fa davvero gola: «Questo significa che i frontalieri per lavorare in un ospedale del Canton Ticino guadagnano molto di più di un collega che presta servizio in un ospedale italiano e guadagna circa 1400 euro, ben al di sotto della media europee che si attesta sui 1900 euro, con punte di 2500 euro nei paesi anglosassoni» sottolinea Fedeli.
E la fuga è sempre più inevitabile: «In Italia un infermiere, a parte le maggiorazioni dello stipendio dovute esclusivamente all’anzianità di servizio, non ha possibilità di avere avanzamenti di carriera, anche se ha una specializzazione o un master, mentre in altri paesi, oltre ad avere una maggiore retribuzione, può avere una crescita professionale» fa notare il presidente OPI.
Che, per concludere, parla del riconoscimento del ruolo dell’infermiere specialista clinico e dell’indennità di prossimità come due delle ricette giuste per iniziare a trattenere in regione i professionisti: «In questo modo all’infermiere verrebbe riconosciuta una progressione di carriera sulla base delle competenze acquisite, mentre con l’indennità di prossimità, si prevederebbe un incentivo economico per le figure sanitarie che vivono al confine.
Può essere il punto di partenza, ma non può bastare per frenare la fuga occorre cercare di costruireuna sanità al passo coi tempi con personale sufficiente in modo da garantire il benessere lavorativo, riposi, ferie e personale di supporto».