Che l’attrattività professionale dell’infermieristica rasenti oramai lo zero assoluto lo sappiamo bene e la questione è oramai un tristissimo ritornello che accompagna ogni digressione sulla professione. Ma al peggio, si sa, non c’è mai fine e le terribili notizie sull’infermieristica italiana seguitano ad arrivare a valanga ogni giorno.
Fatto sta che nessuno sceglie più il corso di laurea in Infermieristica e i pochi che lo fanno, nel 25% dei casi, mollano prima della conclusione del percorso formativo (VEDI). Fatto sta che alla prima vera occasione gli infermieri si dimettono e fanno altro (VEDI). I motivi? Sempre quelli: scarso riconoscimento, demansionamento galoppante, scarse possibilità di carriera, turni massacranti e troppe responsabilità a fronte di un salario da fame.
Secondo l’audit aggiornato Health at Glance 2022 dell’Ocse, infatti, c’è da mettersi le mani nei capelli. In Italia ci sono 6.3 infermieri ogni 1000 abitanti (contro la media di 8 nella maggior parte dei paesi Ue) e soli 1.6 infermieri ogni medico (la media Ue era di 2.2 nel 2020 e si arrivava a 4 in Lussemburgo e Finlandia).
Parlando di stipendio, secondo l’Ocse quello medio degli infermieri italiani (riferita al reddito medio annuo lordo, comprensivo di contributi previdenziali e tasse sul reddito, ma con esclusione di straordinari e calcolato a parità di potere di acquisto) è di 28.400 euro, mentre la media Ue è di 35.300 euro.
E il vincolo di esclusività cui gli infermieri sono incatenati, non fa che aumentare esponenzialmente la disparità tra la loro retribuzione e quella dei medici (che già senza attività “extra” in Ue guadagnano da due a cinque volte di più del salario medio di qualunque altro dipendente).
Poi c’è questione riconoscimento sociale: tra medici che sottoscrivono che “l’infermiere deve fare il giro letti” e aziende che per rispondere alle lamentele dell’utenza dichiarano che, nonostante l’assenza di personale di supporto OSS, non vi sia “nessuna anomalia” in organico (VEDI), gli infermieri sono visti ancora oggi come qualcosa di profondamente lontano da una professione. Costretti a compensare carenze, a fare da OSS, a spingere barelle, a spostare calcinacci (VEDI) e a farsi vedere costantemente come degli umili factotum da cittadini, giornalisti, politici e altri addetti ai lavori.
In tutto questo, inevitabilmente, a peggiorare una situazione già di per sé catastrofica, arrivano ogni giorno anche le botte. Le ultime degne di nota e piuttosto emblematiche, sono state prese da due infermiere in quel di Putignano (Bari): prima insultate e poi prese a calci, pugni e schiaffi solo per aver chiesto ai familiari di un paziente di entrare uno alla volta in reparto (VEDI).
E la politica cosa fa? Al momento nulla. Schillaci, il nuovo Ministro della Salute, ha buttato qua e là qualche promessa (VEDI); poi c’è chi dal M5S propone emendamenti per far riconoscere l’infermiere come lavoro usurante (ma quando era al Governo non ha fatto niente) e chi organizza la formazione di migliaia di infermieri egiziani “sul modello italiano” (VEDI), ma…
Per il resto, si assiste attoniti all’aumento degli infermieri frontalieri (VEDI), alle dimissioni di massa dei professionisti (VEDI), agli appelli inascoltati della FNOPI (VEDI), alle grottesche iniziative di qualche università al grido di “convincete i vostri amici ad iscriversi al corso di laurea” (VEDI) e alle drastiche previsioni del Censis, che vede un futuro praticamente senza infermieri (VEDI).
Bisognerebbe agire, noi infermieri lo diciamo stancamente oramai da tanto tempo. Troppo. Ma forse non ne siamo più così convinti nemmeno noi: il sentore comune tra i professionisti, purtroppo, è che a forza di tirare troppo la corda, questa si sia irreversibilmente sfilacciata e sia vicinissima al punto di rottura.
È davvero troppo tardi per salvare l’infermieristica italiana? Chissà. Di sicuro, urgono drastici e roboanti cambi di rotta per scongiurare il materializzarsi dell’inevitabile.