Iniezione intramuscolo causa ascesso: paziente risarcita con 20 mila euro

Scarica PDF Stampa


A seguito di un’iniezione intramuscolo, una paziente ricoverata presso una struttura riabilitativa abruzzese nel 2017 a seguito di un intervento di artroprotesi ha subito dei danni (un’infezione, con la formazione di un ascesso), ed oggi deve essere risarcita dall’azienda sanitaria (Tribunale L’Aquila, Sentenza n. 574/2023 pubblicata il 06/09/2023, VEDI Responsabilità Civile).

La struttura, perciò, è convenuta a giudizio con la finalità di stabilire le eventuali responsabilità sulla presunta non corretta esecuzione della procedura. D’altra parte, l’azienda ha contestato la domanda, ritenendo che la prestazione sanitaria sarebbe stata eseguita correttamente e che l’ascesso sarebbe stato una conseguenza non riconducibile all’operato dei dipendenti.


Ma la domanda è stata ritenuta fondata. Il CTU ha infatti osservato che «è possibile, pertanto, affermare una effettiva correlazione causale tra le somministrazioni farmacologiche tramite iniezione e la complicanza infettiva che ha poi causato la grave lesione dei tessuti molli della regione glutea i cui esiti sono oggi obiettivabili.

Non è possibile, tuttavia, precisare quale delle somministrazioni sia stata effettivamente la causa della complicanza non essendovi in cartella segnalate anomalie di somministrazione che invece sono dichiarate dalla paziente la quale riferisce una somministrazione particolarmente dolorosa.


Non è neanche possibile chiarire ulteriormente se la complicanza sia primariamente riconducibile ad una errata esecuzione tecnica ovvero al non adeguato rispetto delle misure di prevenzione della diffusione infettiva. In quest’ultimo caso non sarebbe comunque precisabile con la dovuta attendibilità quale anello della catena di asepsi abbia ceduto determinando la penetrazione del microrganismo in profondità con conseguente evoluzione settica.

Certamente nella documentazione disponibile non vi è alcuna prova dell’effettiva attuazione delle misure di prevenzione delle infezioni in ambiente nosocomiale che sappiamo essere dirimenti in termini di riduzione significativa delle complicanze infettive. Come del resto non risultano segnalate particolari situazioni preesistenti locali o sopravvenute che possano far considerare inevitabile la complicanza verificatasi».


Identificare il presunto “colpevole” e la somministrazione “ballerina” è perciò impossibile. Ma l’azienda sanitaria deve pagare: il Tribunale ha ritenuto sussistente il nesso causale tra il danno subito dalla paziente e la condotta specificamente imputata ai sanitari.

E a proposito del danno, il CTU ha accertato un «periodo di inabilità temporanea di giorni 30 di incapacità temporanea parziale al 75%, di giorni 60 di incapacità temporanea parziale relativa al 50% e incapacità temporanea parziale al 25%. 

Sussistono allo stato attuale postumi che in considerazione del tempo intercorso e delle terapie effettuate possono essere considerati stabilizzati e non suscettibili di significativa evoluzione.


Tali postumi permanenti consistono in un esito cicatriziale del gluteo destro di aspetto distrofico, disestesico e nella perdita di tessuto sottocutaneo; quest’ultimo oltre ad aggravare il pregiudizio estetico già causata dall’esito cicatriziale rende ragione della dolorabilità della regione anatomica meno resistente alla pressione. In termini di danno biologico permanente gli esiti sopra descritti sono quantificabili nella misura dell’8%».

E in seguito a tutto ciò, il giudice ha stabilito che la somma complessivamente dovuta in favore della paziente è pari ad euro 19.699,41.

AddText 11 17 11.27.43

Alessio Biondino

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento