La carenza di personale nelle Rsa è un problema radicato, ma negli ultimi anni è diventata ancora più evidente, anche a causa del cambiamento del profilo degli ospiti. “Dimentichiamoci l’immagine del nonno che gioca a carte: oggi nelle Rsa soggiornano principalmente anziani non autosufficienti“ afferma Franca Conte, presidente di Arat (Associazione Residenze Anziani Toscana), che coordina 11 case di riposo per un totale di circa 650 posti letto.
La gestione di una Rsa è complessa, e il nodo del personale rappresenta una delle sfide più critiche. Secondo Conte, nella regione mancano tra i 2.000 e i 3.000 operatori socio-sanitari (Oss) e oltre 1.000 infermieri, un deficit aggravato dai requisiti stringenti previsti dalla normativa toscana. “Rispetto ad altre regioni, la Toscana impone parametri più rigidi: è richiesto almeno un Oss ogni due ospiti, un infermiere ogni dieci, un fisioterapista ogni 40 ospiti e lo stesso rapporto vale per gli animatori. Considerando che in Toscana ci sono 14.000 posti letto, il fabbisogno di personale è facilmente calcolabile” spiega Conte. A questi numeri si aggiunge il personale non sanitario, fondamentale per il funzionamento delle strutture, come addetti alla cucina, alla lavanderia, alle pulizie, alla manutenzione e gli amministrativi.
Perché è così difficile trovare Oss e infermieri?
Le difficoltà di reperire personale qualificato sono legate a diversi fattori. Per quanto riguarda gli Oss, Conte sottolinea come la Toscana sia l’unica regione a non permettere alle agenzie di formazione accreditate di erogare corsi per questa qualifica, lasciando il compito esclusivamente alle Asl. “Questo inevitabilmente rallenta il processo di formazione e inserimento di nuovi operatori nel mercato del lavoro” afferma. Gli infermieri, invece, tendono a preferire il settore pubblico, dove le condizioni contrattuali sono generalmente più vantaggiose.
Il mercato degli infermieri: costi elevati e difficoltà di assunzione
Nelle Rsa, quindi, si trovano soprattutto infermieri pensionati provenienti dal settore pubblico che esercitano come liberi professionisti e infermieri stranieri, il cui titolo di studio è stato riconosciuto in Italia durante la pandemia. “È un mercato selvaggio: visto che c’è tanta richiesta, gli infermieri chiedono minimo 35 euro l’ora“ afferma Conte. Nelle strutture dell’associazione, un infermiere libero professionista guadagna in media 23-24 euro l’ora, mentre un dipendente percepisce circa 2.200 euro netti al mese. Per gli Oss, invece, lo stipendio si aggira intorno ai 1.500 euro mensili.
Lavoro duro e scarso appeal per i giovani
Un ulteriore ostacolo è rappresentato dalla natura stessa del lavoro, che richiede turni impegnativi, spesso nei weekend e nei giorni festivi. “I giovani di oggi aspirano a stipendi dignitosi, ma senza eccessiva fatica e senza sacrificare il tempo libero. Dopo il Covid, questo cambiamento nei costumi è diventato ancora più evidente in molti settori” osserva Conte. La difficoltà nel trattenere il personale, unita all’alto turnover, non solo fa lievitare i costi di gestione, ma ha anche un impatto negativo sulla qualità dell’assistenza agli ospiti, rendendo ancora più urgente trovare soluzioni per arginare la crisi (VEDI La Nazione).

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