Niccolò, uno studente in Infermieristica al terzo anno presso l’Università dell’Insubria, ha raccontato a Varese News ciò che si aspetta dal suo percorso e da quella che a breve sarà la sua professione.
«L’infermiere non assiste, non cura, ma prende in cura: è una sfera molto più ampia e guarda a 360 gradi la persona che si ha di fronte». Inizia così questa sua entusiastica descrizione, pregna dei concetti meravigliosi appresi tramite l’indottrinamento universitario: «L’infermiere oggi è chiamato a farsi carico della qualità della salute e della vita dei pazienti.
A fare una valutazione a 360 gradi delle abitudini, degli eventi occasionali, del contesto abitativo e sociale del singolo. Con domande semplici, ottiene un quadro della situazione in cui può intervenire con soluzioni per migliorare il contesto, evitare condizioni pericolose o nocive per la salute».
Per Niccolò, nonostante l’attualità dica tutt’altro, il futuro dell’Infermieristica italiana è piuttosto roseo: «Nel mio percorso accademico all’Insubria ho compreso le potenzialità di una figura che, attualmente, viene ancora limitata da un immaginario collettivo fermo alla vecchia mansione dell’infermiere generico.
Ci sono molte persone che non sanno che questa è una professione a cui si accede dopo la laurea e, soprattutto, ha potenzialità di carriera diverse e molteplici attraverso lauree specialistiche e master. Ci sono master di primo e secondo livello di area clinica, di area manageriale e anche di ricerca o di sala operatoria.
I corsi magistrali sono soprattutto mirati alla gestione delle equipe e valutazione processi sanitari o economico sanitari. Purtroppo in Italia non abbiamo ancora molti corsi di specializzazione fuori dalle materie cliniche, però sono in discussione a livello ministeriale, perché il futuro modello sanitario sarà più articolato di quello attuale».
Contento come una pasqua, lo studente parla anche delle infinite potenzialità della professione e del fatto che lo stipendio di base, secondo lui, sia di 1800 euro: «Effettivamente, non c’è grande conoscenza delle potenzialità di carriera per un infermiere. C’è la percezione che sia una professione impegnativa per orari e turni oltre a essere mal pagata. Invece, parliamo di un lavoro che permette di avere uno stipendio mensile base tra i 1700 e i 1800 euro.
Se si lavora in ospedale si fanno turni e si lavora nei weekend. Ma ci sono possibilità di lavorare anche al di fuori: al momento più sulla carta che nella realtà. Le potenzialità sono enormi sia a livello clinico sia, come penso io, sul territorio, a occuparsi di prevenzione. Quando io ho fatto la mia scelta, ho cercato informazioni e ho capito che c’era una zona grigia, ancora poco definita, dove sono racchiuse le potenzialità della professione.
Già oggi, l’infermiere può fare delle diagnosi infermieristiche, che non sono simili a quelle del medico, ma puntano sulla definizione del contesto sociale e ambientale del paziente, per definire percorsi di prevenzione adeguati a evitare acutizzazione di malattie croniche, piuttosto che incidenti domestici come le cadute per gli anziani, o malori per situazioni di stress. Parliamo di risk management».
I motivi veri per cui ha scelto di diventare infermiere? Eccoli: «Io ho preferito il corso di infermieristica perché mi piace il rapporto con la gente, il rapporto empatico che si crea. I tre anni sono impegnativi, i mesi di tirocinio in reparto danno subito l’idea dell’impegno quotidiano.
Abbiamo ricevuto una formazione a 360 gradi che è un valore importante: dalla medicina alla chirurgia sino alla sala operatoria e a tutte le specialità. In tre anni è chiaro che sia un’infarinatura, ma abbiamo poi la possibilità di specializzarci nel settore che più ci piace».
Ricapitolando: stipendio più che accettabile, infinite potenzialità di carriera e specializzazioni come se piovessero. Sarebbe molto interessante intervistarlo fra qualche anno, il caro Niccolò, quando i suoi tanti sogni e le sue aspettative, come quelli di tanti altri neo infermieri o aspiranti tali, si saranno scontrati rovinosamente con la dura realtà.
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