La presidente della FNOPI, Barbara Mangiacavalli, non ha più dubbi: «Ormai c’è una questione infermieristica». E in un’intervista a Avvenire (VEDI) ha spiegato punto per punto cosa, secondo la Federazione, c’è da fare per risolvere le molte problematiche della professione.
«La nostra professione non può più accontentarsi di soluzioni parziali: occorre affrontare i nodi strutturali per risolvere le criticità che penalizzano gli infermieri. Anche perché i giovani oggi stentano a dedicarsi alle professioni infermieristiche» ha evidenziato Mangiacavalli.
Eh sì, ne abbiamo parlato più volte: nessuno vuole più fare l’infermiere, in Italia mancano qualcosa come 70.000 professionisti e abolire il numero chiuso ai corsi di laurea serve a poco nulla.
Quelli che ci sono, poi, sempre più spesso, appena possono mollano la professione per fare altro. D’altronde, chi è talmente folle da desiderare tutte queste responsabilità da laureato a fronte di uno stipendio da diplomato o peggio?
Chi è così pazzo da intraprendere un percorso universitario e di laurearsi per essere poi sottopagato, sfruttato, demansionato, malmenato, senza possibilità di carriera e scarsamente riconosciuto?
Senza mai parlare di demansionamento (ci siamo abituati), una delle cause dello scarso riconoscimento sociale della professione e per cui nessun giovane sano di mente sceglierebbe mai di fare l’infermiere, la presidente della Federazione ha elencato le cause di questo sfacelo.
«L’attuale organizzazione fatica a valorizzare persone e talenti» ha dichiarato. «Non è esigibile uno sviluppo di carriera in ambito clinico-assistenziale (ma solo in ambito organizzativo), non vengono realizzati percorsi formativi specialistici, né c’è un adeguato riconoscimento economico per un impegno lavorativo che si svolge – a differenza di altre professioni sanitarie – con turni sulle 24 ore al giorno e su 7 giorni alla settimana».
E i nostri laureati seguitano a fuggire verso paesi con sistemi sanitari peggiori del nostro, ma che evidentemente valorizza i professionisti: «Migrano verso Stati dove ci sono maggiori speranze di sviluppo di carriera, legate alla possibilità di specializzarsi: soprattutto Regno Unito, Norvegia, Finlandia, Svezia.
E non torna nessuno, perché dove vivono c’è una valorizzazione sia giuridica sia economica del loro lavoro, dentro modelli organizzativi che hanno una caratteristica: minore densità medica, e maggior spazio per lo sviluppo di competenze avanzate per gli infermieri».
La prescrizione infermieristica, tanto discussa negli anni e per cui i medici si sono messi per traverso, ne è un chiaro esempio: «Va chiarito che si tratta di prescrizione di presidi e ausili. Quando 5 anni fa abbiamo portato il tema al nostro congresso, abbiamo trovato le barricate.
Da allora abbiamo avviato percorsi di confronto con Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo) e stiamo facendo un lavoro di sinergia, anche di tipo culturale.
Presidi e ausili sono funzionali a un processo di assistenza infermieristica, che già oggi gli infermieri usano con competenze specialistiche, perché sono gli infermieri enterostomisti o quelli esperti di incontinenza (abbiamo società infermieristiche specifiche) che indicano che cosa occorre al medico, che compila la ricetta.
Ma è un passaggio che si potrebbe superare, anche grazie alle lauree magistrali di ambito clinico, che darebbero un’abilitazione di tipo specialistico».
Entrando più nel dettaglio, Mangiacavalli ha infine esposto la sua ricetta per migliorare l’attrattività professionale dell’infermieristica: «Oggi gli infermieri entrano in un unico “calderone” che non consente di fare percorsi di valorizzazione.
Occorre attuare le lauree magistrali di ambito clinico che, pur previste da una norma del 1994, non sono state realizzate. Chi vuole studiare con una laurea magistrale di tre anni più due deve potersi specializzare in aree cliniche: da neurologia e decadimento cognitivo alle patologie croniche nefrologiche, dall’area chirurgica a quella della salute mentale o a quella neonatale-pediatrica, fino alle cure territoriali e l’infermieristica di famiglia.
Ovvio che poi vada modificato il sistema di reclutamento, che riconosca questa formazione specialistica. Mentre oggi è ancora fermo alle normative stabilite a metà degli anni Novanta, che prevedono, per esempio, l’esclusività di impiego per chi è assunto nella sanità pubblica, senza la possibilità di esercitare la libera professione».
Come si tradurranno nel concreto tutte queste necessità? La presidente ricorda che «già prima delle elezioni abbiamo presentato le nostre necessità alle forze politiche. Ora vorremmo poter discutere dei percorsi che il governo ritiene fattibili e percorribili».
“Fattibili e percorribili”, certo. Quindi, chissà perché (…), viste le innumerevoli volte in cui i lavoratori del nostro SSN sono stati messi da parte, noi infermieri seguitiamo a non essere molto ottimisti per quanto riguarda il nostro futuro.