Pandemia, agenzie di comunicazione e fake news: il rapporto del Censis

Come giudicano, gli italiani, il mare in tempesta di informazioni che li ha investiti durante la pandemia globale? E quali canali sono stati scelti dai cittadini come fonti di ‘verità’? 

È probabilmente per rispondere a queste semplici domande che è nato il rapporto “Disinformazione e fake news durante la pandemia: il ruolo delle agenzie di comunicazione”, curato dall’istituto di ricerche Censis e condotto in collaborazione con l’agenzia di comunicazione Ital Communications.

Perché, come sostenuto nel rapporto, Siamo immersi nelle notizie, le produciamo, le condividiamo, le commentiamo; il più delle volte non ci domandiamo neppure da dove vengono né se sono attendibili: il web ha allargato la platea del mondo dell’informazione portando più libertà, più protagonismo, più notizie, ma anche meno intermediazione e meno controlli sulla qualità e la veridicità delle informazioni che viaggiano in rete”.

Secondo i dati prodotti dalla ricerca, presentata venerdì 23 aprile al Senato, ben 50 milioni di italiani hanno ricercato informazioni sul Covid-19 e lo hanno fatto soprattutto attraverso queste fonti:

  1. media tradizionali come TV, radio e stampa per il 75,5% sul totale degli intervistati (ben il 94,5% nella fascia d’età over 65!); 
  2. internet (siti istituzionali) per il 51,8% del campione, soprattutto tra i soggetti più giovani (65,6%) e con istruzione superiore (61,3% i laureati);
  3. Social network per il 29,8% (circa 15 milioni di italiani), di cui il 46,2% tra 18 e 34 anni, il 32,2% tra i laureati. Ben 5 milioni e 500.000 utenti hanno reperito informazioni su siti Internet non ufficiali;
  4. Medico di medicina Generale per 12 milioni e 600.000 persone in valore assoluto, con quote più elevate nelle città grandi e medio grandi e tra chi ha titoli di studio più elevati.

Un oceano di notizie (spesso confuse e contraddittorie) che, però, secondo il 65% degli intervistati, non ha affatto aiutato ad avere le idee più chiare. Anzi, ha generato paura.

E ciò è accaduto soprattutto tra le fasce di popolazione più anziane (nel 72,5% degli ultra 65enni) e in quelle meno scolarizzate (nel 79,7% del campione con licenza di scuola secondaria di primo grado).

Come ha giudicato, il campione in oggetto, la comunicazione (social e mainstream) circa l’emergenza sanitaria? Di sicuro confusa (49,7%). Ma anche ansiogena (39,5% del totale, ma che sale al 50,7% tra i più giovani), eccessiva (34,7%), troppo generica (20,5%), sbagliata (10,6% del totale, 14,1% dei 18–34enni e 3,7% degli over 65) o addirittura pessima (14,6% tra i giovani, 3,2% tra gli anziani).

Non mancano gli ottimisti, anche se sono pochi: è stata definita equilibrata dal 13,9% del totale degli intervistati (19,6% tra gli over 65) chiara dal 15,2% degli anziani.

Autore: Alessio Biondino

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