Presto sarà possibile “ingabbiare” il Coronavirus? Lo studio

Uno studio molto interessante, pubblicato su Cell Death & Disease, si propone di spianare la strada alla creazione di una nuova terapia in grado di sigillare il Coronavirus all’interno delle cellule che infetta.

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Uno studio molto interessante, pubblicato su Cell Death & Disease, si propone di spianare la strada alla creazione di una nuova terapia in grado di sigillare il Coronavirus all’interno delle cellule che infetta. Una nuova e affilata arma da associare al vaccino, quindi?

Bloccare ogni via d’uscita alla Covid-19

Curare la Covid-19 e limitare il più possibile i suoi esiti più gravi. È con questo obiettivo che un team internazionale di ricercatori si propone di sperimentare una molecola potenzialmente in grado di intrappolare mortalmente il SARS-CoV-2 nelle cellule che ha infettato, non permettendogli così di uscire e di contagiarne altre.

Come? La chiave è stata individuata in una specifica classe di enzimi, gli E3-ubiquitin ligasi, proteine grazie a cui il virus riesce a uscire (una volta moltiplicatosi) dalle cellule che ha attaccato per poi diffondersi nel resto dell’organismo ospite.

Tali enzimi risultano essere presenti in quantità importante soprattutto nei polmoni dei pazienti contagiati dalla Covid-19, ma non solo: gli studiosi hanno anche trovato, in un gruppo di pazienti che avevano sviluppato la malattia in forma piuttosto grave, alcune alterazioni rare nei geni che codificano per gli enzimi E3-ubiquitin ligasi.

Gli enzimi E3-ubiquitin ligasi sono quindi implicati nelle forme gravi di Covid?

Proprio così: i ricercatori azzardano l’ipotesi che potrebbe esserci un’associazione tra le alterazioni genetiche che spianano la strada all’espressione di questi enzimi (e che quindi favoriscono la fuoriuscita di virioni dalla cellule) e la covid in forma grave.

Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Cell Death & Disease, è stato coordinato da Pier Paolo Pandolfi (Università di Torino – Università del Nevada, USA) e Giuseppe Novelli (Università di Tor Vergata – Università del Nevada, USA).

Si è svolto in in collaborazione con l’Ospedale Bambino Gesù (Roma), l’Istituto Spallanzani (Roma), l’Università San Raffaele (Roma) e diverse Istituzioni USA (Harvard, Yale, Rockfeller, NIH, Mount Sinai, Boston University), canadesi (University of Toronto) e francesi (INSERM Parigi, Hôpital Avicenne).

Come inibire questi enzimi e bloccare così il progredire della malattia?

Ciò sarebbe possibile tramite l’Indolo-3 Carbinolo (I3C), un composto di origine naturale già utilizzato nel trattamento di alcune malattie autoimmuni e contro il Papillomavirus, che è stato capace di bloccare, in vitro, l’uscita e la moltiplicazione del virus dalle cellule infettate.

Per i ricercatori sarebbe necessario, di conseguenza, iniziare al più presto dei trial clinici per il suo utilizzo contro la CoViD-19, così da avere certezze circa la sua efficacia sull’uomo.

Già, perché per immaginare un futuro dove si possa convivere pacificamente col virus e dove si possano aiutare tutte quelle persone che non possono (per varie cause) ricevere il vaccino, c’è assoluto bisogno di identificare anche un trattamento antivirale efficace.

Prendendo in considerazione il long Covid, ad esempio, sarà fondamentale capire se l’I3C potrà essere utile anche nel trattamento di tutti quei sintomi, piuttosto debilitanti, che in alcuni pazienti proseguono inesorabili a lungo termine anche dopo la guarigione dalla patologia.

Autore: Alessio Biondino

Fonte: “Inhibition of HECT E3 ligases as potential therapy for COVID-19”, Cell Death & Disease

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