Primo Maggio stanco e amaro per infermieri, medici e sanitari

Dario Tobruk 01/05/21
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Senza dubbio un Primo Maggio amaro e stanco per i sanitari. Facciamo un po’ di conti e considerazioni attraverso le parole dei rappresentanti delle principali categorie sanitarie: infermieri e medici. 

Primo Maggio stanco e amaro per infermieri, medici e sanitari

Come sono stanche e amareggiate le parole del Presidente della Federazione degli Ordini dei Medici, Filippo Anelli: “Non possiamo rimanere indifferenti di fronte ai diritti negati. Ai turni massacranti, agli straordinari non retribuiti, alle ferie non concesse, alle maternità procrastinate, alle remunerazioni non commisurate al lavoro. Alle carenze di personale, che costringono ad esempio gli stessi anestesisti ad assistere i malati di Covid e, nel contempo, i pazienti che si sottopongono a interventi chirurgici. Alle carenze nella sicurezza, diritto fondamentale di ogni lavoratore“. È un vero e proprio “Primo Maggio amaro” lo definisce Anelli.

I sanitari hanno combattuto la prima ondata con scarsi DPI, senza tamponi e protocolli, completamente allo sbaraglio, come soldati con le scarpe di cartone. I numeri del ilManifesto.it riassumono efficacemente ciò che successe e continua a succedere oltre alla retorica dell’eroe che tanto abbiamo combattuto sin dai primi giorni: 400 (quattrocento) morti tra medici e infermieri, 84mila infortuni (tre volte il periodo precedente).

Tragedia prevedibile visto la situazione già emergenziale. Nelle parole di Carlo Palermo, Sindacato Anaao Assomed, tutto il biasimo per una mancata attenzione nei confronti del settore: “Bisogna risalire alla crisi finanziaria del 2008 che si è prolungata per un decennio. Dal quarto governo Berlusconi in poi si è ridotto il finanziamento al Servizio sanitario nazionale. In realtà c’è stato un piccolo incremento ogni anno salvo in due casi: l’esecutivo Monti e poi quello Renzi, gli unici che hanno tagliato il fondo (circa 900 milioni Monti, 200 milioni Renzi). Tutti gli altri, fino al 2019, hanno fatto piccoli incrementi che si sono tradotti in un sottofinanziamento nel pieno di una transizione demografica che, invece, ha fatto crescere i bisogni sanitari”.

8,8 miliardi in nuovi investimenti in sanità nel periodo 2010-19 sono stati a malapena sufficienti per colmare il gap inflazionale, il naturale aumento dei costi, e i risultati sono evidenti: taglio dei posti letto e del personale per migliaia di unità.

Siamo in affanno costante – continua Palermo – ma già accadeva negli anni passati, con i picchi influenzali che trasformavano le corsie in gironi infernali. Non siamo eroi ma nemmeno martiri. Durante la prima ondata le disposizioni vietavano la quarantena per chi avesse avuto un contatto stretto con un positivo per carenza di personale. Molti si sono autoesiliati dalla famiglia per il timore di contagiarli. Dalla seconda ondata in poi qualcosa è cambiato ma la pressione non è mai calata».

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sembra un buon punto di inizio ma: “se lo confrontiamo con il piano che aveva stilato il ministro Speranza la differenza è eclatante – continua Palermo -. Per gli ospedali nel Pnrr ci sono 5,6 miliardi, Speranza ne avrebbe voluti 34,4. Nell’ultimo anno i posti di terapia intensiva sono aumentati di 3.500 unità e di 4.225 in sub intensiva ma manca il personale. Gli ospedali hanno bisogno di adeguamenti antisismici e antincendio, solo per questo Speranza prevedeva 14 miliardi, nel Pnrr ce ne sono uno o due. Le strutture non sono adatte a essere rimodulate per accogliere grandi flussi di malati perciò siamo stati costretti a espellere i pazienti non Covid, centinaia di migliaia di interventi rimandati e così le visite, gli screening oncologici. Ci dobbiamo preparare a una seconda epidemia di malati non Covid. Abbiamo bisogno di ospedali in grado di riarticolarsi in base alle necessità per non dovere mai più espellere chi ha bisogno di cure”.

Il Rapporto OASI 2019 di CERGAS-Bocconi  parla di 5,6 infermieri per 1.000 abitanti in Italia, contro i 16 mediamente in Nord Europa, i 12,9 in Germania e i 10,9 in Francia. Non i peggiori in assoluto, Grecia, Polonia e Spagna registrano numeri più bassi ma sicuramente l’Italia, dove il rapporto infermieri/assistiti è in modo diffuso al di sopra di 11, è sotto la media europea.

Ricordiamo che secondo i risultati dello studio RN4CAST quando il rapporto pazienti-infermiere è inferiore o uguale a 6:1, la mortalità diminuisce del 20%. Meno infermieri, vuol dire più decessi.

Carmelo Gagliano, presidente OPI Genova e consigliere FNOPI, conclude: “Nel settore convenzionato col pubblico troviamo colleghi con differenti contratti e differenti tutele, una pratica decisamente diffusa e troppo variegata. Con la pandemia gli ospedali hanno fatto un reclutamento importante, i professionisti sono trasmigrati verso il pubblico lasciando scoperto il privato. Ora ci troviamo con strutture per anziani, disabili e cronici sguarnite. Ci vuole più attenzione ai contratti e bisogna portare a compimento i concorsi“.

Un emorragia incontrollata di infermieri giovani, e meno giovani, che scappano all’estero dove: “sono apprezzati per le competenze cliniche e relazionali. Siamo bravi tecnicamente ma anche nella presa in carico della cura e nell’attenzione alle patologie. Francia, Germani, Belgio, Inghilterra ci cercano.

Il Ministro Speranza ha spiegato alle Camere: “Dall’inizio dell’emergenza ad aprile 2021, sono state reclutate 81.236 unità di personale di cui 17.634 a tempo indeterminato. In particolare: 20.192 medici, 32.064 infermieri, più di 15.900 operatori socio-sanitari, oltre a tecnici di radiologia e di laboratorio, assistenti sanitari, biologi”.

Ma per quanto possa, la politica nazionale, ritenerlo sufficiente, la verità dei fatti è diversa, in Italia e nel mondo mancano milioni di infermieri: qualsiasi obiettivo al di fuori di questi numeri, non è raggiunto, è solo rimandato.

Autore: Dario Tobruk (Profilo Linkedin)

Fonte: ilManifesto.it

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