Sono circa duecento i “cervelli” che lavorano al servizio del nostro SSN e che rischiano o sono costretti ad andare via. La perdita per lo stato italiano è notevole perché, come è facile intuire, investire sulla ricerca vuol dire investire su basi solide per l’intero reparto della sanità italiana.
Un ulteriore ostacolo alla permanenza in Italia di questi ricercatori sembrerebbe lo stesso Jobs Act, abbattutosi senza indugi anche sul loro contratto, da adesso in avanti non più rinnovabili. Sono così iniziate tutte una serie di proteste che hanno investito a vario titolo differenti strutture pubbliche, da ultimo l’Istituto ortopedico e il padiglione G del Bellaria.
I ricercatori a rischio escono così allo scoperto, cercando di richiamare l’attenzione sul carattere proprio della loro precarietà, e anche questo sembra essere un segnale quanto meno evidente di una situazione paradossale, un paese che può contare su tante eccellenze dovrebbe averne cauto riguardo e porre in essere gli strumenti utili per un implementare esso stesso ed in maniera autonoma il loro sostegno, ma in Italia tutto questo sembra venire meno.
Professione infermiere: alle soglie del XXI secolo
La maggior parte dei libri di storia infermieristica si ferma alla prima metà del ventesimo secolo, trascurando di fatto situazioni, avvenimenti ed episodi accaduti in tempi a noi più vicini; si tratta di una lacuna da colmare perché proprio nel passaggio al nuovo millennio la professione infermieristica italiana ha vissuto una fase cruciale della sua evoluzione, documentata da un’intensa produzione normativa. Infatti, l’evoluzione storica dell’infermieristica in Italia ha subìto un’improvvisa e importante accelerazione a partire dagli anni 90: il passaggio dell’istruzione all’università, l’approvazione del profilo professionale e l’abolizione del mansionario sono soltanto alcuni dei processi e degli avvenimenti che hanno rapidamente cambiato il volto della professione. Ma come si è arrivati a tali risultati? Gli autori sono convinti che per capire la storia non basta interpretare leggi e ordinamenti e per questa ragione hanno voluto esplorare le esperienze di coloro che hanno avuto un ruolo significativo per lo sviluppo della professione infermieristica nel periodo esaminato: rappresentanti di organismi istituzionali e di associazioni, formatori, studiosi di storia della professione, infermieri manager. Il filo conduttore del libro è lo sviluppo del processo di professionalizzazione dell’infermiere. Alcune domande importanti sono gli stessi autori a sollevarle nelle conclusioni. Tra queste, spicca il problema dell’autonomia professionale: essa è sancita sul terreno giuridico dalle norme emanate nel periodo considerato, ma in che misura e in quali forme si realizza nei luoghi di lavoro, nella pratica dei professionisti? E, inoltre, come si riflettono i cambiamenti, di cui gli infermieri sono stati protagonisti, sul sistema sanitario del Paese? Il libro testimonia che la professione è cambiata ed è cresciuta, ma che c’è ancora molto lavoro da fare. Coltivare questa crescita è una responsabilità delle nuove generazioni. Le voci del libro: Odilia D’Avella, Emma Carli, Annalisa Silvestro, Gennaro Roc- co, Stefania Gastaldi, Maria Grazia De Marinis, Paola Binetti, Rosaria Alvaro, Luisa Saiani, Paolo Chiari, Edoardo Manzoni, Paolo Carlo Motta, Duilio Fiorenzo Manara, Barbara Man- giacavalli, Cleopatra Ferri, Daniele Rodriguez, Giannantonio Barbieri, Patrizia Taddia, Teresa Petrangolini, Maria Santina Bonardi, Elio Drigo, Maria Gabriella De Togni, Carla Collicelli, Mario Schiavon, Roberta Mazzoni, Grazia Monti, Maristella Mencucci, Maria Piro, Antonella Santullo. Gli Autori Caterina Galletti, infermiere e pedagogista, corso di laurea magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma.Loredana Gamberoni, infermiere, coordinatore del corso di laurea specialistica/ magistrale dal 2004 al 2012 presso l’Università di Ferrara, sociologo dirigente della formazione aziendale dell’Aou di Ferrara fino al 2010. Attualmente professore a contratto di Sociologia delle reti di comunità all’Università di Ferrara.Giuseppe Marmo, infermiere, coordinatore didattico del corso di laurea specialistica/ magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede formativa Ospedale Cottolengo di Torino fino al 2016.Emma Martellotti, giornalista, capo Ufficio stampa e comunicazione della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi dal 1992 al 2014.
Caterina Galletti, Loredana Gamberoni, Giuseppe Marmo, Emma Martellotti | 2017 Maggioli Editore
32.00 € 30.40 €
Alle polemiche risponde in una nota il governatore Stefano Bonaccini: “parleremo quanto prima al ministro Lorenzin“, il quale continua: “Le loro ragioni sono del tutto condivisibili: dopo tanti anni hanno il diritto a stabilizzare le proprie vite e aspirazioni”. Nel frattempo la regione,tramite l’assessore alla sanità Venturini, ha già tentato di porre un argine alla situazione così verificata e a seguito di un incontro con alcuni ricercatori si è già iniziato a parlare di un provvedimento per stabilizzare i ricercatori attraverso i canali propri della regione.
Sulla vicenda si è espresso nuovamente il governatore Bonaccini: “Lavoreremo a una soluzione ponte per i ricercatori dell’Emilia-Romagna, affinché si apra la strada ad un provvedimento nazionale”. Anche la direttrice scientifica Maria Paola Landini ha evidenziato come “il nostro servizio sanitario nazionale non riconosce i ricercatori, li usa ma non li vede”
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