Rischiamo una guerra di competenze tra Infermieri e OSS, parliamone!

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Sempre meno considerati e sempre più oppressi, sono gli O.S.S., quelli che assistono e aiutano alla nutrizione e nelle attività di vita quotidiana centinaia di persone anziane e non solo, all’interno delle case di riposo, degli ospedali, delle carceri, nelle scuole e in tutto quello che è il sistema socio-sanitario e assistenziale.

Ma non solo, l’operatore socio sanitario è colui che in altri paesi, come ad esempio in Svizzera, è il cosiddetto “assistente di cura”, un appellativo che vuole significare senza ombra di dubbio, qualcosa in più.

In effetti, ha proprio tanto in più quest’operatore, sia per le attività che svolge, sia per il sistema formativo attraverso il quale viene preparato, una serie di mansioni che vanno ben oltre le attività di aiuto domestico alberghiero e che si proiettano verso un approccio realmente più sanitario dell’assistenza.

Una situazione analoga a tanti altri paesi europei, dalla Francia alla Germania, fino alla Spagna, tanto per citare i big d’Europa; una realtà che ha dato forma ad una vera e propria professione, disegnando un mansionario e delle competenze ben specifiche, facendo si che l’assistente di cura fosse realmente un valido aiuto per professionisti quali gli infermieri ad esempio.


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Situazione diversa per il nostro Paese, dove purtroppo, tutto è lasciato nelle mani di chi si sveglia per primo al mattino, o forse sarebbe meglio dire, nelle mani di chi arriva primo in reparto. Succede dunque, che di volta in volta si decidono mansioni, competenze e attività da svolgere, senza seguire una linea concreta, lasciando tutto al caso e creando situazioni molto imbarazzanti, in particolare per l’utenza che non riesce a distinguere tra un infermiere o un OSS.

Senza contare il rischio d’incorrere “nell’esercizio abusivo di professione”, a causa dell’incompatibilità formativa a svolgere certe attività. Insomma, una “babilonia” dovuta in particolare alla troppa esuberanza di alcuni OSS che si prestano con facilità, o anche all’arbitrarietà di taluni infermieri che pensano di poter rifilare compiti a quest’ultimi, come meglio pensano.

Sembra una barzelletta, eppure, questa è la realtà che si vive quotidianamente, in particolare laddove c’è mancanza di personale e vige il sistema dell’aiutiamoci a vicenda. Una condizione ormai insopportabile, ma che purtroppo sembra non sdegnare nessuno, nemmeno gli stessi socio sanitari, che tanto tutto sommato, hanno il posto fisso, lo stipendio e poi del resto chi se ne frega.

In tanto, mentre fino a dieci anni fa chi sceglieva di fare il corso era poco più che un cinquantenne in cerca di una nuova collocazione lavorativa, oggi sono sempre di più i tanti ragazzi appena diplomati, che intraprendono questa strada perché oltre a intravedere la possibilità di trovare facilmente lavoro, si accorgono anche delle soddisfazioni che può dare questo lavoro. Sono proprio questi ultimi che credono e sperano in una crescita professionale dell’O.S.S.

Il problema di fondo, che dovrebbe far riflettere, è che offrire un servizio dove non si sa in che modo un addetto ai lavori deve o può svolgere una determinata mansione, è un limite tutto italiano.

Una difficoltà che purtroppo delinea l’incapacità di chi gestisce la sanità nazionale e che invece di preoccuparsi dell’efficienza o di crearla, è sopraffatto dalle lotte intrinseche agli ordini professionali e all’associazionismo di alcune categorie, che ne fanno ormai da tempo, solo una questione di prestigio e di potere, dimenticando che l’unico obbiettivo dovrebbe essere: creare un servizio appropriato per l’utenza con personale sempre più formato e motivato, attraverso un sistema organizzativo che tenda a creare un ambiente di lavoro propositivo e proficuo.

Purtroppo, c’è una certa insensibilità anche da parte dell’Istituzioni centrali e territoriali che sembrano sempre più distanti, impegnati soprattutto nella burocrazia e nel far quadrare gli aspetti economici, tralasciando che il servizio è migliore allorquando esistono, non solo buoni conti pubblici, ma anche e forse soprattutto, quanto chi lavora è soddisfatto per quello che fa e vede davanti a se la possibilità di conoscere e quindi crescere umanamente e professionalmente.

Autore: Alessandro Salerno (Facebook)

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Alessandro Salerno

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