Ecco perché è sbagliato definire gli OSS “personale di supporto”

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Capita quotidianamente ormai, girando tra i corridoi delle corsie o magari nelle riunioni di reparto, di sentire appellare gli operatori socio sanitari come, “personale di supporto”. Una definizione leggermente mortificante, nel momento in cui si guarda al lavoro in un’ottica d’integrazione tra le varie figure professionali, all’interno del “gruppo di lavoro”; ma è una definizione oltretutto sbagliata, a mio modesto parere, se si guarda quella che è la normativa attualmente in uso e che rappresenta, in un certo senso, la bussola per questa figura professionale: gli allegati dell’accordo Stato e regioni del 2001.

Ecco perché è sbagliato definire gli OSS “personale di supporto”

In effetti, questo concetto dell’”operatore di supporto”, così denominato anche all’interno degli stessi testi di formazione concorsuale, è una denominazione che mai compare, proprio all’interno degli allegati e dei principi dell’accordo stesso.

Leggendo ad esempio il punto 4 dell’accordo Stato e regioni del 2001, ovvero il “contesto relazionale”, si dice infatti:

l’operatore sociosanitario svolge la sua attività in collaborazione con gli altri operatori professionali preposti all’assistenza sanitaria e a quella sociale, secondo il criterio del lavoro multiprofessionale.

Sempre all’interno degli allegati, leggiamo concetti come quello di “collaborare” e “coadiuvare”, ma in nessun modo si parla di supporto, in quanto ognuno secondo le proprie competenze e le proprie caratteristiche professionali, apporta il suo contributo al processo assistenziale.

Di conseguenza, questo principio dell’operatore di supporto è stato coniato e realizzato direttamente dai collegi IPASVI, che trascrivendo quello che è il codice deontologico dell’infermiere, in maniera del tutto strumentale e autocratica, all’art. 36 hanno così dichiarato:

L’Infermiere ai diversi livelli di responsabilità clinica e gestionale pianifica, supervisiona, verifica, per la sicurezza dell’assistito, l’attività degli operatori di supporto presenti nel processo assistenziale a lui affidati.

Avete capito bene, a lui affidati! Praticamente è l’unica categoria professionale sanitaria e non solo, è quella categoria che a livello globale, tra tutti gli ordini professionali esistenti in Italia, che rivendica di avere un operatore al suo cospetto e sotto il proprio controllo, un aiutante in pratica, una sorta di giovane di bottega, un garzone.

Pensate un po’, se la categoria dei medici avesse scritto nel proprio codice deontologico, che gli infermieri sono operatori di supporto a loro affidati, cosa sarebbe successo.

Tale concetto di “personale di supporto”, era già stato precedentemente citato all’interno di quel decreto che ha individuato il profilo professionale dell’infermiere, ovvero il D.M. 739 del 1994, che al punto “f “afferma: “per l’espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell’opera del personale di supporto“.

Tale decreto ministeriale però, è riferito ad un periodo storico durante il quale non esisteva la figura dell’OSS, bensì altre figure, come quella dell’OTA, operatore tecnico addetto all’assistenza, il cui profilo professionale fu disciplinato dal D.M. 295 del 1991, con la evidente necessità di introdurre all’interno del S.S.N., un operatore che avesse la capacità di attendere ad attività di tipo igienico sanitario e alberghiero, oltre che assistenziali, in forma di collaborazione subordinata all’infermiere stesso.

Attualmente, infatti, quella che gli infermieri continuano a ribadire costantemente in merito a questo desiderio di controllo e di subordinazione dell’OSS, è una pretesa inconcepibile, che non trova nessun fondamento, in particolar modo quando si pensa al concetto più ampio di integrazione multidisciplinare come citato più volte all’interno della legge 833 del 1978.

Autore: Alessandro Salerno (profilo Facebook)

Per approfondire:

Alessandro Salerno

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