I nostri pronto soccorso e l’emergenza territoriale sono letteralmente in ginocchio. E al di là delle tante inesattezze (per non chiamarle fesserie) elargite a cavallo della pandemia per giustificare il progressivo spolpamento del nostro SSN avvenuto nei decenni, il Covid c’entra poco.
Fatto sta che il personale sanitario, intrappolato da turni massacranti, stipendi-insulto, sfruttamento, botte da orbi e minacce di morte, oggi è allo stremo un po’ in tutta Italia.
E quando si è allo stremo, purtroppo, capitano anche cose tristi, brutte, che fanno veramente vacillare tutti quelli che, nonostante tutto, provano a tenere ancora in piedi la baracca: pochi giorni fa un medico del pronto soccorso di Udine, la dottoressa Lucia Damiano, dopo un devastante e interminabile turno di 14 ore è andata a dormire e non si è più svegliata (VEDI Udine Today).
A seguito della tragedia, un’infermiera che lavorava a stretto contatto con la donna ha deciso di scrivere una struggente missiva al presidente della Società italiana sistema 118 (SIS118), Mario Balzanelli, con un unico obiettivo: chiedere aiuto in nome dei tanti professionisti che lavorano nell’emergenza sanitaria.
E lui ha risposto, divulgando il tutto via social ed impiegandosi in prima persona per cambiare le cose:
«Ricevo questa notte un’altro messaggio struggente, tristissimo, lacerante, da una infermiera del Pronto Soccorso di Udine.
Mi chiede aiuto.
È sconvolta.
Mi racconta della “sua dottoressa”, LD, medico di Pronto Soccorso, 50 anni.
Così la descrive: “preparata, velocissima, attenta istruttore acls , sapeva fare tutto, gentile, con noi infermieri, presente, formava, collaborativa, medico di ps che aveva fatto anche 118, mamma, coccolona”.
“Dedita al ps, capace, preparata, veloce, non era una marchettara, una che ci credeva.”
“Si faceva in 4. Sempre col sorriso ma lo sguardo attento”.
LD, appassionata e dedita, attenta e premurosa, molto brava e sensibile.
Una di noi, che non si risparmia, che sul lavoro da’ tutto, più di tutto, oltre tutto, oltre se stessa.
LD, che non si sottrae a ritmi serrati, incalzanti, sotto pressione continua, di una dimensione lavorativa frenetica che ormai rappresenta, per gli evidenti contesti di altissima criticità, l’inevitabile sforzo sovramassimale oggettivamente, e direi impietosamente imposto a chiunque operi, in difesa della vita, in emergenza.
LD fa il turno di notte, 14 ore.
Un turno in cui, in mezzo alla solita baraonda, dà il meglio, si spende senza riserve e, ancora una volta, fa la differenza.
Riprende tre arresti cardiaci.
“Dopo una notte assurda con una folla enorme di gente, 3 arresti ripresi in mezzo ad una marea di cazzate.”
LD smonta, sfinita, ancora una volta, dal turno, in cui anche alla fine dello stesso “ancora apriva casi, non mollava”…
“Va a casa , si occupa della figlia, va a dormire”.
“Non si è più svegliata.”
“L’ha trovata la figlia di 14 anni questa mattina nel letto morta.”
“Io l’ho abbracciata l’altra mattina perché mi era venuto così. L’avevo vista magra e spenta.”
Qui l’infermiera, improvvisamente, si rivolge a me: “Io non la conosco, sono una senza filtri, le chiedo di aiutarci perché credo che possa farlo. Non voglio svegliarmi e vedere i mulini a vento. Voglio ancora credere che ci siano mostri che vedeva don chisciotte”.
“Lei che forse può ci aiuti. I ps stanno andando a picco con le persone che come L e me ancora ci credevano nonostante gli anni e la fatica.”
“Per favore. Non facciamo morire questo lavoro. Io sono una infermiera, lavoro in emergenza da 18 anni.”
“Io vorrei solo che lei che può per favore ci aiuti. Noi e tutti quelli vecchietti come me e L che ancora fanno le notti in piedi per fare bene questo lavoro. Grazie”.
Ho letto e riletto più volte questo messaggio.
Rispondo in modo lapidario: assolutamente sì.
Ci sono, ci siamo.
Aver dedicato la vita, la nostra vita, all’emergenza sanitaria è stata, ed è, l’affermazione più profonda di una nostra connotazione identitaria, la nostra più autentica vocazione, forse la parte migliore di noi stessi.
Ma non può rappresentare, per nessuno di noi, e per alcun motivo, una scelta suicidaria.
Confermo tutto il mio personale impegno, presente e futuro, perché l’emergenza sanitaria, nel nostro Paese, sia territoriale sia ospedaliera, sia riconosciuta nei fatti quale il cardine primo istituzionale della difesa e della protezione tempo dipendente della vita della popolazione nazionale e non la dimensione reietta della sanità in cui ci hanno vergognosamente precipitati, abbandonati, sviliti e traditi i decisori, tutti i decisori più alti governativi degli ultimi trenta anni.
Affinché chi lavori in emergenza vada davvero a vivere con gioia e ardente crescente passione il suo giorno pieno di lavoro e non a porre formidabili basi per morire prima del tempo.
Ci sono, ci siamo e ci saremo.
Daremo tutto di noi stessi perché ciò accada.
Ad LD un abbraccio infinito, e più ancora alla sua bambina di 14 anni.
Grazie per avermi scritto in questa notte così buia della tua vita.
Mario Balzanelli
Presidente Nazionale SIS118».