Che il titolo di “dottore” appartenga a tutti i professionisti laureati italiani, infermieri inclusi, è cosa più o meno risaputa dal lontano DM 270/2004, che nell’art. 13 comma 7 recita testualmente: «A coloro che hanno conseguito, in base agli ordinamenti didattici di cui al comma 1, la laurea, la laurea magistrale o specialistica e il dottorato di ricerca, competono, rispettivamente, le qualifiche accademiche di dottore, dottore magistrale e dottore di ricerca».
Eppure, ancora oggi, complice l’associazione senza tempo del termine “dottore” esclusivamente alla professione medica, in corsia e tra i cittadini vige molta confusione. E sono in molti, anche tra i professionisti infermieri (colpevolmente) italiani e non, a non sapere nemmeno che qui da noi il professionista laureato infermiere possegga quel titolo; salvo poi accorgersene davanti al giudice di turno (visto che in materia la giurisprudenza ha le idee chiarissime) o, come accaduto a una collega straniera, davanti a una platea di professionisti italiani imbarazzati.
È pur vero che le attenuanti ci sono tutte, visto che qui in Italia la dicitura infermiere “dottore” equivale praticamente a un ossimoro: come può venire naturale a un cittadino o a un altro professionista anche solo pensare di associare il termine “dott” a un professionista che in reparto svolge mansioni inferiori, tra cui quelle domestico alberghiere (come un inserviente), a causa delle carenze di personale e organizzative?
Ma ce lo vedete un paziente che si rivolge a un infermiere per chiedere cose del tipo: «Dottore, mi porta il pappagallo»? Oppure «Dottore, mi abbassa la tapparella»? O anche «Dottore, mi spegne la TV che ho sonno»? E infine «Dottore, mi si è bagnato il letto di urina. Mi cambia la traversa»?
Decisamente impossibile. Però, quando si prende la parola di fronte a una platea, qui in Italia, provando a parlare di cose serie (non di effetti letterecci) e magari aggiornate sia scientificamente sia giuridicamente, forse sarebbe meglio evitare brutte figure come quella a cui è andata incontro la suddetta collega durante il Congresso Nazionale Gravecelt (acronimo di Accessi Venosi Centrali a Lungo Termine), lo scorso 5 dicembre a Roma.
Chiamata sul palco come “dottoressa” per introdurre il Port come nuovo campo di competenza infermieristica, la sanitaria ci ha tenuto subito a precisare: «Infatti non sono dottoressa, sono infermiera».
Peccato che qui, nel nostro paese, su questa e altre questioni riguardanti l’infermieristica, ci sia ben poco da ridere.