Vale la pena, oggi, fare l’infermiera? L’appello di una collega alle giovani

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Nel mare magnum delle testimonianze di infermieri stanchi pubblicate dai media, quest’oggi ci ha colpito quella di Fortunata, collega dell’Ospedale Giannuzzi di Manduria che fa un vero e proprio appello ai giovani (VEDI La Voce di Manduria). Lo pubblichiamo per intero.


«Piuttosto fai i video su tik-tok e l’influencer o un qualsiasi altro lavoro, ma non fare l’infermiera e nemmeno il medico! Anche se lo hai sognato, anche se lo hai sempre visto come “quel che vorrei fare”. Te lo dice una vecchia infermiera, una che quel mondo lo conosce, una che quell’universo lo ha scelto. Ti potrei parlare delle gambe stanche e degli occhi gonfi, ma queste cose tu le sai già.


Ti potrei parlare di quelle feste passate in corsia, mentre il mondo intorno a te gioisce, ma questo è il nostro lavoro.

Ti potrei parlare di quelle volte che avresti voglia di mollare tutto perché una perdita non è come tutte le altre e la piangi più delle altre, ma questo è qualcosa che metti in conto.

Ti potrei parlare di quegli stipendi che “sono fermi”, ma tu non pensi di arricchirti con questo lavoro.

Ti potrei raccontare di quel “grazie” detto da un paziente anche se non ti è dovuto, ma che ti rende bella la giornata.

Ti potrei raccontare di quella carezza che ti sfiora l’anima prima che il corpo, ma è qualcosa che proverai solo dove ti fermerai a custodirla.

Ti potrei raccontare di quelle vite che continuano ad essere tali ed un po’ sarà anche merito tuo, ma dovrai lasciarle andare al loro futuro.


Ti potrei raccontare di quella telefonata, di quella voce che ti dice “volevo dirti che ora sto bene. Grazie…” e sai che “hai trattenuto il fiato” sino a quella notizia.

Quello che non posso raccontarti è tutto ciò che sta avvenendo o che è sempre avvenuto, ma forse non con tale frequenza.

Non posso raccontarti di quei pugni, di quei calci, di quella rabbia, di quelle aggressioni fisiche e verbali

A Foggia circa 50 persone aggrediscono il personale sanitario. A solo poche ore di distanza un diciottenne, arriva al PS in preda a stato d’ansia e colpisce il personale sanitario…

A Gaeta un uomo colpisce un infermiere alla testa… un altro minaccia un’infermiera con un coltello…

A Manduria i colleghi del 118, soccorrono un uomo che si scaglia contro di loro provocando ferite a un operatore sanitario…


A Vibo Valentia si pensa di mandare l’esercito a presiedere l’ospedale per le continue aggressioni…

Tutto questo solo negli ultimi giorni, ma potremmo fare un lunghissimo elenco.

Certo al signore che arriva perché ha preso una storta al piede ballando, non puoi dire che il personale è impegnato con casi più urgenti, perché il suo problema è il suo problema e per lui è prioritario.

A quello che arriva perché vomita dopo un’abbuffata di cozze crude, non puoi raccontare che il medico è lì da 12 ore consecutive e che non ci sono più barelle disponibili e si aspetta “quel posto letto” per poterne liberare almeno una, perché lui sta male e vuole attenzione.


Ai parenti che aspettano notizie, non puoi raccontare che quello stesso medico “ha scelto” di dare priorità e curare il loro congiunto e solo dopo potrà avere tempo per loro, perché loro vivono l’ansia dell’attesa.

Allora il personale diventa il bersaglio di un sistema che per te, non funziona.

Il sistema tu non puoi vederlo, il personale sanitario sì.

Allora pensi che sia giusto “punire” chi hai davanti perché la colpa di quel sistema è sua. Senza sapere che il tuo disagio è solo di quel giorno, mentre quel personale sanitario, lo vive tutti i giorni.

Ma quando senti “la signora” in corridoio che si lamenta dell’attesa per una visita di routine, per il ritardo pur sapendo che il medico è impegnato in sala operatoria in un intervento difficile, dire:

«Fanno bene a picchiarli!» dimmi, ragazza mia, vale davvero la pena fare questo lavoro?

Pensaci…».

burnout infermieristico

Alessio Biondino

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