Autodifesa e de-escalation: le poche armi spuntate a disposizione degli infermieri italiani contro le aggressioni mettono in luce un paradosso: in sanità, a gestire la violenza non è chi la perpetra, ma chi la subisce.
Se fossimo meno ipocriti, capiremmo che nessuno si sognerebbe mai di chiedere a una donna di essere più forte contro la violenza maschile. Eppure, Eppure, alle infermiere e agli infermieri si chiede di essere più “forti” contro chi li aggredisce.
Violenza contro gli infermieri è sinonimo di utenza violenta
Ormai l’argomento delle aggressioni contro gli infermieri è diventato tema d’opinione pubblica.
Non passa giorno, credetemi, nemmeno uno, senza che un giornale internazionale, nazionale, regionale, provinciale, locale o persino parrocchiale non parli di un infermiere aggredito, insultato, picchiato, a cui hanno rubato la macchina, bucato le gomme, rotto il finestrino, offeso la madre e così via.
Se il giornalismo italiano (e quello infermieristico, mea culpa) hanno trasformato l’argomento della violenza contro gli infermieri in qualcosa che nemmeno somiglia più ad un bollettino di guerra, ma piuttosto a una rubrica giornaliera: più simile alle informazioni sul traffico che a un evento traumatico, la colpa è sia degli addetti all’informazione (ripeto, mea culpa) sia del destinatario, perché abbiamo trasformato una somma di tante tragedie personali, in un unico narrazione politica.
Un espediente per attirare l’attenzione persa dopo l’eroismo indesiderato del Covid.
Leggiamo notizie di aggressioni agli infermieri come se stessimo leggendo il bollettino del traffico: “Oggi traffico sulla Milano-Bergamo a causa di infermiere pestato a sangue in autostrada, code per 2 km, addetti in corsia per rimuovere il corpo che impedisce il passaggio”.
Se la situazione non inizia a suonare strana, allora non può che confermarsi paradossale.
Appena qualche giorno fa il Nursing Up, ancora più indietro alcune OPI, e così molte altre istituzioni e associazioni hanno deciso di rispondere ai continui episodi di violenza e aggressione in ospedale – soprattutto contro gli infermieri in prima linea – programmando corsi di autodifesa e de-escalation.
La maggior parte di questi corsi si sviluppa in due fasi: da un lato, insegnano agli infermieri come prevenire la violenza con tecniche di de-escalation; dall’altro, in caso estremo, come difendersi dall’utente violento attraverso un addestramento che dura solo qualche ora.
Mi chiedo davvero quanto possano essere utili queste tecniche di autodifesa, quando durante un’aggressione vera il panico e la paura paralizzano il corpo, o quando la rabbia e l’istinto di sopravvivenza scatenano una reazione di combattimento, per lo più scoordinata. Con il rischio di aggravare la situazione, innescare un circolo adrenalinico tra aggredito-aggressore. In poche parole, prendere più botte di quelle che si sarebbero prese non reagendo male.
Perché per imparare a difendersi da un aggressione ci vorrebbero mesi di duro addestramento solo per imparare a non cadere a terra e sbattere la testa confusi, così da poter scappare in sicurezza. Altro che autodifesa, ragazzi scappare!
Abbiamo visto troppi film di Steven Seagal e pensiamo davvero che un infermiere, con qualche ora di lezione, possa contrastare l’aggressione di persone che esercitano la violenza da un’intera vita (sì, perché se sei in grado di picchiare un estraneo, immagina cosa combini a casa tua).
E, a questo punto lo dico, gli infermieri ai corsi di autodifesa sono come i bambini ai corsi di judo: impacciati, divertiti, ingenui, inconsapevoli dei reali motivi per cui si trovano lì. È un dato di fatto.
Per farla breve, bravi i sindacati e gli ordini a organizzare corsi di autodifesa, ma se non mandate gli infermieri a fare training intensivi di mesi sulle montagne della Cina per imparare il kung fu, poche ore di gesti scoordinati non saranno altro che rituali di esorcismo contro la paura: coreografie auto-motivazionali, poco più di esercizio fisico.
Ok, l’autodifesa ma vuoi mettere conoscere i tuoi diritti?
Un’altra arma di cui disponiamo ogni giorno contro le aggressioni è la conoscenza: dei nostri diritti, delle modalità di tutela e delle misure di sicurezza a disposizione degli infermieri e degli altri professionisti sanitari.
Per questa ragione vi invitiamo a consultare il testo La tutela contro le aggressioni agli operatori sanitari dell’Avvocato penalista Fabio Piccioni, che ci introduce, con estrema chiarezza e competenza, nel mondo delle disposizioni normative a tutela della nostra salute e integrità, sia fisica che mentale.
Disponibile sia su MaggioliEditore.it che su Amazon.it, è uno strumento da prendere seriamente in considerazione da chi ogni giorno si scontra con il fenomeno delle aggressioni e vuole dire basta a questo continuo supplizio.
Scopri come tutelarti dalle aggressioni
La tutela contro le aggressioni agli operatori sanitari
Oggi i giornali, le tv, il web e tutti i media li chiamano “i nuovi eroi”.Eppure, da tempo è nota a livello mondiale una nuova emergenza sociale: la violenza contro di loro, la violenza nei confronti degli operatori sanitari.Ogni giorno, sono dati forniti dall’Inail, in Italia si verificano infatti ben 3 episodi di violenza contro gli operatori sanitari, comprensivi di intimidazioni e molestie.I principali fattori di rischio si rinvengono negli atteggiamenti negativi dei pazienti nei confronti degli operatori, nelle aspettative dei familiari, e nei lunghi tempi di attesa nelle zone di emergenza.Varata in piena pandemia da Covid-19, la legge 14 agosto 2020, n. 113, “Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni”, tenta di rispondere all’esigenza di sicurezza avvertita dal personale medico-sanitario, e contiene varie misure sia a livello sanzionatorio sia a livello educativo e preventivo.Viene inoltre introdotta un’ipotesi speciale del delitto di lesioni personali, una nuova circostanza aggravante comune, in presenza della quale i reati di lesioni e percosse diventano procedibili d’ufficio, e una sanzione amministrativa.Per rispondere, nell’immediatezza, alle esigenze innanzitutto di praticità degli operatori, il volume presenta un primo commentario e una dettagliata e accurata analisi della legge n. 113/2020, e tenta altresì di prefigurare le ricadute derivanti dall’impatto delle nuove disposizioni nel tessuto normativo del sistema.Fabio PiccioniAvvocato del Foro di Firenze, Patrocinante in Cassazione. LLB presso University College of London, è Docente di Diritto penale alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali della Facoltà di Giurisprudenza, Coordinatore e Docente di master universitari e corsi di formazione. Giornalista pubblicista, è autore di pubblicazioni e monografie in materia di Diritto penale e amministrativo sanzionatorio.
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Quando il responsabile dell’aggressione è la vittima e non il carnefice
Ciò che a mio avviso risulta paradossale, se non proprio triste e sconfortante, non sono, lo ripeto, le iniziative meritevoli di lode degli stakeholder infermieristici, che di fronte a un problema così complesso non possono che rispondere con le poche armi (spuntate) a loro disposizione, come la formazione o la denuncia.
Quello che colpisce è il sottotesto di questa vicenda, che sembra suggerire a livello comunicativo che il problema sia il comportamento “errato” degli infermieri e non degli utenti.
Come se la colpa fosse nell’incapacità dell’operatore di calmare un’utenza de-responsabilizzata, libera di distruggere e disturbare luoghi e servizi pubblici impunemente, senza alcuna paura delle conseguenze.
Perché se l’aumento delle pene non è riuscito a ridurre le aggressioni, allora il problema non è la paura della pena, ma la violenza dell’aggressore.
Ma il responsabile della violenza e dell’aggressione non è la vittima, bensì il carnefice.
Ideona: invece di spiegare agli infermieri come difendersi, perché non iniziare a insegnare alle persone a non aggredire gli operatori sanitari?
Oppure, perché non iniziamo a comprendere i motivi di tanta rabbia sociale?
Magari il Governo potrebbe iniziare a porvi rimedio: ad esempio aiutare il ceto medio-basso a sopravvivere dignitosamente, a non rimanere incastrato in un circolo di debiti e mancati servizi, così da non dover sfogare la propria frustrazione contro il primo tontolone che trova, di solito, appunto l’infermiere. Chissà, magari funziona. O forse, è solo semplicemente giusto.
PS. noi promettiamo di farci da parte dagli strilloni di sventure infermieristiche, e ci concentreremo sulle soluzioni. Magari non con i corsi di autodifesa, ma con una maggiore consapevolezza del fenomeno. A nostro avviso sembra più sensato che strillare all’infermiere colpito. Che ormai non fa più nemmeno effetto come parlare oggi di Covid-19.”Covid che…?”.
Autore: Dario Tobruk (seguimi anche su Linkedin – Facebook – Instagram – Threads)
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