Buoni pasto, l’Ausl rivuole i soldi indietro dagli infermieri

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Nursind, sindacato degli infermieri, ha diffidato l’Ausl Romagna per quanto riguarda il recupero quote del buono mensa, che l’azienda vorrebbe mettere in atto ai danni dei dipendenti in quanto questi non avrebbero rispettato determinate fasce orarie imposte.

Lo ha spiegato, in un’intervista pubblicata dal Corriere Romagna, Lino D’Urso, legale rappresentante dell’organizzazione sindacale nell’ambito di Rimini e Cesena: «Molte aziende sia pubbliche che private forniscono ai propri dipendenti il servizio mensa al termine o durante il turno di lavoro. L’Ausl Romagna, invece, da anni mantiene un atteggiamento discriminatorio nei confronti dei propri dipendenti riguardo la possibilità dei buoni pasto».


«Mi spiego meglio – continua D’Urso –, il decreto numero 66 del 2003, all’articolo 8, dice che al dipendente dopo le 6 ore di lavoro spetta il diritto alla mensa o all’uso di buoni pasto da consumare nei locali convenzionati con l’Ausl. Di fatto questa norma è disattesa in quanto l’Azienda ha sempre predisposto regolamenti per l’utilizzo della mensa che creano, intenzionalmente, limitazioni all’impiego del buono pasto».

Come? «Il regolamento cita delle fasce orarie dove si può usare il buono pasto. Fasce identificate, guarda caso, con gli orari di apertura della mensa interna all’ospedale». E tutto ciò, inevitabilmente, si traduce «in una limitazione all’utilizzo poiché in molte occasioni non si riesce a rispettare l’orario per vari problemi, dalla gestione di figli minorenni ai ritardi nel fine turno per esigenze di servizio».


Ma non solo: «Sollecitata più volte a considerare anche il personale che smonta dalla notte – sottolinea D’Urso – l’Ausl ha inserito nel regolamento una fascia oraria che va dalle 6 alle 9 del mattino. Va considerato che alle 6 non smonta nessuno dal lavoro, bensì dalle 7 in poi, si tenga presente inoltre che molti dipendenti si trovano a dover accompagnare i propri figli a scuola».

E ora l’azienda rivuole i soldi indietro dagli infermieri: «Da qualche giorno l’Azienda ha inviato una circolare a tutti i dipendenti dove si richiederanno indietro le somme dei buoni (4,13 euro) a quanti ne hanno usufruito senza rispettare le fasce orarie imposte, che di fatto, non trovano corrispondenza con tutti gli articoli di legge che regolamentano questa tutela del lavoratore. Oltre al danno la beffa, dunque. Infatti non vi è un solo articolo, comma o postilla dove si dica che il diritto alla mensa ha delle fasce orarie da rispettare oltre il raggiungimento delle 6 ore di lavoro. Chiediamo inoltre la possibilità di cumulare i buoni e di aumentare il loro valore economico. Ma c’è dell’altro.


Aggiungo che la Regione eroga a tutte le proprie aziende le somme del buono pasto per tutti i dipendenti senza creare limitazioni di sorta. Ogni giorno per l’Azienda della Romagna la Regione versa una somma di circa 70mila euro, solo per la mensa, che moltiplicati per 365 giorni supera i 25 milioni di euro. Facciamoci qualche domanda. Per completezza, segnalo che il nostro sindacato Nursind ha portato l’Azienda in tribunale per la mensa, abbiamo affrontato il 1° grado e siamo in attesa che il giudice depositi la sentenza a giorni».

Come risolvere la situazione? D’Urso non ha dubbi: «L’unica possibile, senza contrastare le leggi che regolamentano il servizio mensa, è fornire un carnet di buoni pasto ai dipendenti in base alle effettive giornate di lavoro che possono a loro volta usufruirne al bisogno come i dipendenti comunali o le forze dell’ordine».

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Alessio Biondino

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