Giornata dell’Infermiere: ma la politica continua a “fare l’indiano”

Redazione 12/05/25

Per celebrare la Giornata dell’Infermiere 2025, vogliamo ricordare che, ad oggi, l’unica cosa concreta ottenuta dalla politica è stata…“fare l’indiano”.

Non che le nostre istituzioni, facciano “orecchie da mercante” e che stiano facendo finta di niente, o che istituzione e politica si nascondono dietro a continui commenti e complimenti pur di continuare a non fare nulla per migliorare la situazione…anzi! L’indiano l’hanno fatto davvero!

Ne hanno fatti 10.000, arrivati dritti dritti dall’India. Sperando che una toppa esotica basti a rattoppare uno squarcio strutturale.

Quindi festeggiamo, anche quest’anno. Poteva andare peggio: un giorno potremmo essere noi a dover andare in India.

Anni di complimenti, anni di non-soluzioni


12 maggio. E anche quest’anno, il 13esimo della mia carriera, è la Giornata Internazionale dell’Infermiere. Si moltiplicano i post celebrativi, le locandine a tema, i loghi ICN rilanciati sui social.

I dirigenti stringono mani, i politici rilasciano dichiarazioni sull’importanza di migliaia di donne e gli uomini che ogni giorno “si prendono cura dei bisogni di salute con grande dedizione e professionalità”.

Tutto davvero molto bello. Dico davvero. Ma tutto tremendamente scollegato dalla realtà. Una realtà ormai distopica. Anzi tremendamente reale. Che nemmeno più Black Mirror, la famosa serie fantascientifica che mostra il lato oscuro della società, riuscirebbe più a rappresentarne l’assurda verità.

L’infermiere non ha bisogno di una pacca sulle spalle all’anno. A furia di pacche si è slogato l’articolazione, la schiena brucia e gli fa male, ma chiedere malattia è impossibile, perché il collega dovrebbe saltare il turno al suo posto ma ha appena avuto un secondo figlio e sembra indecente solo pensarlo.

Pertanto, oggi 12 maggio, sarò io stesso a sacrificarmi e a beccarmi gli inutili elogi che arrivano ogni anno.

Di cosa ha bisogno l’infermiere?

L’infermiere ha bisogno di turni sostenibili, stipendi dignitosi, organici completi, tutele giuridiche, sicurezza sul lavoro, prospettive di crescita, ad alcuni andrebbe persino fare carriera.

Ha bisogno che si dica finalmente la verità: il sistema sanitario italiano, così com’è, si regge sulla disponibilità di chi è rimasto. Su chi continua a lavorare anche quando è stanco, anche quando è solo, anche quando è stato appena aggredito verbalmente o fisicamente nel turno di notte.

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Ma quanto durerà ancora l’infermiere?

Nel frattempo, i numeri parlano chiaro: le iscrizioni ai corsi di laurea in Infermieristica crollano, il tasso di abbandono della professionale sale, l’età media avanza, le dimissioni aumentano.

Il burnout non è più un rischio. È un compagno di corsia.

Chi resta, un eroe, oggi come oggi, è costretto a coprire anche ciò che non gli spetterebbe: ruoli amministrativi, funzioni improprie, mansioni che nulla hanno a che fare con l’assistenza clinica. Ogni tanto persino delle imputazioni per omicidio colposo, welfare dal sapore black humour.

Solo in Piemonte mancano 6.000 infermieri, in Lombardia le stime arrivano dai 2000 ai 9000, e il turn-over è un’illusione a questo punto. Sarebbe inutile fare la lista delle altre regioni. In tutta Italia, il quadro è simile. E le soluzioni? Ormai perennemente imbarazzanti.

La Non-Soluzione della politica: fare l’indiano

Si parla di “importare infermieri dall’estero”, come se bastasse arruolare lavoratori a basso costo per salvare un sistema al collasso.

Come se si potesse continuare a giocare al continuo ribasso, contro-mercato, mentre si chiede ai professionisti della salute di fare sempre di più, con sempre meno.

Che il libero mercato deve funzionare quando conviene all’élite politica e imprenditoriale, mica al ceto medio lavoratore.

Quando tocca all’infermiere avere valore, tutti magicamente dimenticano le regole del gioco liberale.

E la politica sembra voler continuare a tappare i buchi con pezze d’importazione. Rammendare a forza un tessuto socio-sanitario che non regge. Le toppe di pezza non tengono, quando il tessuto è lacerato.

Un sistema troppo complesso a cui solo professionisti esperti e culturalmente competenti possono porre soluzione, a prezzo di mercato, e quindi moooolto oneroso.

Con tutto il rispetto del mondo infatti, ma operatori extracomunitari, potrebbe avere anche una preparazione sufficiente, ma mancano della cultura locale e nazionale per uscire dal luogo tecnico in cui può limitarsi a a vivere un professionista limitato da barriere linguistiche e culturali. Non ci si può fare niente. Nemmeno 10mila indiani possono fare niente per questa Povera Italia.

Per quel che può valere, noi ci siamo

Intanto, nelle corsie e nei domicili, nei centri diurni e nei pronto soccorso, l’infermiere c’è. Sempre. È quello che accoglie, che ascolta, che cura. È quello che riempie le assenze del sistema, che pianifica la terapia, che prende in carico il paziente, e che se ne fa carico.

È quello che ti accompagna nel percorso di salute, anche quando non hai più voglia di combattere. Anche quando lui stesso non ha più voglia di combattere.

Perché, in fondo, sa che è un valido professionista. E non è una risorsa da spremere finché dura. È un punto di riferimento su cui costruire, non da cui solo pretendere.

Oggi, quindi, non basta dire “grazie”.

O scomodare Florence Nightingale. Che a vedere gli infermieri italiani ne rovineremo la pace eterna.

Non basta pubblicare una frase su Instagram con lo sfondo in blu. Oggi serve una presa di posizione netta: o si investe davvero nella professione infermieristica, o ci si rassegna a guardare il Servizio Sanitario Nazionale sbriciolarsi, pezzo dopo pezzo.

Perché senza infermieri, semplicemente, la sanità non esiste.

Ma noi come ogni singolo anno da quasi 10, noi…vi abbiamo avvisati. Non dureremo ancora a lungo.

Intanto, tanti auguri collega, tieni duro!

Autore: Dario Tobruk  (seguimi anche su Linkedin – Facebook InstagramThreads)

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