Infermiere in pensione uccise l’anziana moglie, affetta da Alzheimer in stato avanzato, come “atto di amore“.
Quattordici anni di detenzione: troppi per la difesa, troppo pochi per l’accusa. Anche l’opinione pubblica è divisa. Un caso che richiama un enorme vuoto legislativo e una carente cultura della morte, in cui a disporre della vita delle persone sono, a torto o ragione, troppo spesso gli altri, e quasi mai è, invece, la persona stessa.
Un “atto di amore”. Per l’ex-infermiere: “volevamo andarcene insieme”
Quattordici anni di carcere per Filippo Maini, ex-infermiere in pensione, accusato di aver ucciso la moglie Luisa Bernardini, affetta di Alzheimer e in stato terminale il 22 giugno di quattro anni fa.
Secondo le ricostruzioni, le motivazioni alla base del gesto sarebbero riconducibili ad un irremissibile “atto di amore“, al quale doveva far seguito, secondo i suoi piani, il suicidio dell’uxoricida, con tanto di lettera d’addio per i posteri.
Tentativo di suicidio sventato però dalla badante, che si è ritrovata davanti la scena della moglie morta e dell’anziano infermiere con un paio di sacchetti di plastica in testa, dopo aver assunto la stessa dose di sedativi con cui prima aveva soffocato la 77enne, affetta da grave demenza senile.
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14 anni di carcere per l’omicidio della moglie all’ex-infermiere
Condanna di omicidio volontario aggravato, ma ridotta sulla base di generiche attenuanti, che lasciano un senso agrodolce sia nell’opinione pubblica che tra le parti del processo. La difesa attende i 90 giorni per disporre delle motivazioni dei giudici, rimasti in camera per ben sette ore.
Posizione speculare dell’accusa, che invece aveva chiesto 21 anni, sostenendo, secondo l’inchiesta, che la malata non presentasse sofferenze fisiche tali da giustificare il gesto “pietoso“.
Inoltre, non vi sarebbero tracce documentate delle ultime volontà della signora, né la possibilità di raccogliere il un suo consenso esplicito o implicito (ad esempio le Disposizioni Anticipate di Trattamento o anche solo un generico foglio con volontà firmate).
Pertanto, secondo il PM, a non sopportare più lo stato della malattia era l’infermiere stesso, oggi 80enne, e la sua decisione di interrompere la vita della moglie andrebbe punita come omicidio colposo. Una tesi che i giudici hanno accolto solo in parte, riducendo la pena di alcuni anni.
Periodo di riduzione insufficiente per l’avvocato di Maini, secondo cui era “una decisione che non ci aspettavamo“. Prosegue il difensore: “Sono fermamente convinto che avessero deciso di farla finita insieme“. Secondo la difesa, la reale imputazione, di tutt’altro peso, sarebbe stata al massimo omicidio del consenziente.
Il giudizio su questo caso si fa sempre più complesso, e richiede riflessione e silenzio, anche di fronte alle parole dell’anziano infermiere: “Non mi importa nulla di un’eventuale condanna. La vera pena è essere sopravvissuto alla mia Lulù”, ha dichiarato prima del processo.
D’altro canto, la decisione appare unanime, e comunque imposta dal marito che non riesce a dimostrare la volontà della moglie, e in quanto tale reo di grave sostituzione alla volontà altrui, di non aver rispettato il principio fondante di autodeterminazione della persona. In questo caso della moglie Luisa Bernardini.
La difesa ha, comunque, già annunciato ricorso in Appello.
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