Su questo tema, in quel di Montecatini Terme, il prossimo 28 settembre si terrà un incontro promosso dall’Ordine delle professioni infermieristiche interprovinciale Firenze-Pistoia dal titolo “Infermieri educatori: corretti stili di vita”.
L’evento si aprirà con i saluti istituzionali della presidente della Fnopi Barbara Mangiacavalli, il cui intervento sarà seguito dall’introduzione alla giornata affidata a Monica Marini, dirigente infermieristico con incarico professionale Sos Gestione Firenze, che modererà anche gli interventi successivi.
La relazione introduttiva sarà a cura di Lorenzo Roti, direttore sanitario dell’Azienda USL Nord Ovest. A seguire, Danilo Massai, presidente di OPI Firenze Pistoia parlerà del “Ruolo degli infermieri quale educatori dei corretti stili di vita”, mentre Paolo Carlo Motta, dell’Università degli studi di Brescia, si concentrerà su “Formazione e ricerca: Infermieri promotori agli stili di vita per il benessere e la salute dei cittadini”.
“Organizzazione e processi a sostegno del ruolo educativo degli Infermieri” è invece il tema che sarà affrontato da Vianella Agostinelli, direttrice della struttura complessa Direzione delle Professioni Sanitarie dell’Azienda USL di Modena, mentre Paola Obbia del SSD Consultorio Familiare dell’ASL CN1, Università di Torino e membro dell’AIFeC (Associazione degli Infermieri di Famiglia e di Comunità), parlerà di “Infermieri di famiglia e comunità: educatori nella fragilità e cronicità”.
Vista l’importanza degli argomenti che verranno trattati durante quella giornata, noi di Dimensione Infermiere abbiamo deciso di farci una breve chiacchierata col presidente OPI di Firenze Pistoia, Danilo Massai.
Professione infermiere: alle soglie del XXI secolo
La maggior parte dei libri di storia infermieristica si ferma alla prima metà del ventesimo secolo, trascurando di fatto situazioni, avvenimenti ed episodi accaduti in tempi a noi più vicini; si tratta di una lacuna da colmare perché proprio nel passaggio al nuovo millennio la professione infermieristica italiana ha vissuto una fase cruciale della sua evoluzione, documentata da un’intensa produzione normativa. Infatti, l’evoluzione storica dell’infermieristica in Italia ha subìto un’improvvisa e importante accelerazione a partire dagli anni 90: il passaggio dell’istruzione all’università, l’approvazione del profilo professionale e l’abolizione del mansionario sono soltanto alcuni dei processi e degli avvenimenti che hanno rapidamente cambiato il volto della professione. Ma come si è arrivati a tali risultati? Gli autori sono convinti che per capire la storia non basta interpretare leggi e ordinamenti e per questa ragione hanno voluto esplorare le esperienze di coloro che hanno avuto un ruolo significativo per lo sviluppo della professione infermieristica nel periodo esaminato: rappresentanti di organismi istituzionali e di associazioni, formatori, studiosi di storia della professione, infermieri manager. Il filo conduttore del libro è lo sviluppo del processo di professionalizzazione dell’infermiere. Alcune domande importanti sono gli stessi autori a sollevarle nelle conclusioni. Tra queste, spicca il problema dell’autonomia professionale: essa è sancita sul terreno giuridico dalle norme emanate nel periodo considerato, ma in che misura e in quali forme si realizza nei luoghi di lavoro, nella pratica dei professionisti? E, inoltre, come si riflettono i cambiamenti, di cui gli infermieri sono stati protagonisti, sul sistema sanitario del Paese? Il libro testimonia che la professione è cambiata ed è cresciuta, ma che c’è ancora molto lavoro da fare. Coltivare questa crescita è una responsabilità delle nuove generazioni. Le voci del libro: Odilia D’Avella, Emma Carli, Annalisa Silvestro, Gennaro Roc- co, Stefania Gastaldi, Maria Grazia De Marinis, Paola Binetti, Rosaria Alvaro, Luisa Saiani, Paolo Chiari, Edoardo Manzoni, Paolo Carlo Motta, Duilio Fiorenzo Manara, Barbara Man- giacavalli, Cleopatra Ferri, Daniele Rodriguez, Giannantonio Barbieri, Patrizia Taddia, Teresa Petrangolini, Maria Santina Bonardi, Elio Drigo, Maria Gabriella De Togni, Carla Collicelli, Mario Schiavon, Roberta Mazzoni, Grazia Monti, Maristella Mencucci, Maria Piro, Antonella Santullo. Gli Autori Caterina Galletti, infermiere e pedagogista, corso di laurea magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma.Loredana Gamberoni, infermiere, coordinatore del corso di laurea specialistica/ magistrale dal 2004 al 2012 presso l’Università di Ferrara, sociologo dirigente della formazione aziendale dell’Aou di Ferrara fino al 2010. Attualmente professore a contratto di Sociologia delle reti di comunità all’Università di Ferrara.Giuseppe Marmo, infermiere, coordinatore didattico del corso di laurea specialistica/ magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede formativa Ospedale Cottolengo di Torino fino al 2016.Emma Martellotti, giornalista, capo Ufficio stampa e comunicazione della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi dal 1992 al 2014.
Caterina Galletti, Loredana Gamberoni, Giuseppe Marmo, Emma Martellotti | 2017 Maggioli Editore
32.00 € 30.40 €
Sabato 28 settembre a Montecatini Terme, si terrà un evento molto importante dal titolo “Infermieri educatori: corretti stili di vita”. Di cosa si tratta?
È praticamente un incontro dedicato al ruolo degli infermieri, fondamentali nella promozione dei corretti stili di vita cui i cittadini dovrebbero attenersi. Si terrà all’interno di un evento più ampio, il Festival della Salute, in programma dal 27 al 29 settembre alle Terme Tettuccio di Montecatini Terme e in cui interverrà anche la presidente della Fnopi Barbara Mangiacavalli.
Il nostro obiettivo, che spiegherò bene nel mio intervento “Ruolo degli infermieri quale educatori dei corretti stili di vita” è mirato soprattutto a far comprendere quanto il ruolo dell’infermiere, oggi, sia fondamentale anche e soprattutto in determinati contesti territoriali.
Un esempio su tutti: la scuola. Un luogo dove, per fare qualche esempio, possono ritrovarsi bambini/adolescenti immunodepressi, diabetici, fortemente allergici, disabili, dove possono verificarsi situazioni di urgenza di fronte a cui insegnanti e personale amministrativo possono non essere in grado di intervenire. Ecco, la scuola è una di quelle comunità dove la presenza e la costante opera di educazione sanitaria da parte dell’infermiere può rivelarsi vitale.
L’infermiere, per profilo professionale, è un educatore sanitario. Quanto, secondo lei, il riconoscimento sociale cui la categoria aspira può e deve passare attraverso l’affermazione costante di questo aspetto?
Molto. Tanto. Forse troppo. Gli infermieri devono rendersi conto fino in fondo che sono dei professionisti, che sono i responsabili dell’assistenza generale infermieristica e che sono degli educatori; non sono solo dei meri esecutori di prestazioni tecniche, chiamati sul territorio (spesso in libera professione) solo per ciò che si “sa fare”. Devono rendersene conto e dimostrarlo all’utenza.
L’educazione sanitaria è una delle chiavi per trasmettere ai cittadini l’importanza che l’evoluzione dell’infermieristica ha avuto negli ultimi 25 anni. Ma per farla come si deve, i professionisti devono necessariamente essere preparati meglio dalle università: l’infermiere, oltre a conoscere bene ciò che vuole trasmettere, deve saper comunicare meglio a seconda di chi ha di fronte, deve saper dare in modo efficace certe informazioni, deve conoscere bene i contesti in cui si ritrova a operare e a programmare.
Il nostro è un paese sempre più vecchio. E, inevitabilmente, i bisogni assistenziali della popolazione stanno cambiando. Parlando sempre in chiave di educazione sanitaria, in scenari di questo tipo, quanto è importante far funzionare a dovere le figure dell’infermiere di famiglia e dell’infermiere di comunità?
L’infermiere di famiglia e quello di comunità, a braccetto con i medici di medicina generale e con i servizi distrettuali, sono due figure cruciali per lo sviluppo e il potenziamento dei servizi territoriali di assistenza territoriale e domiciliare. Grazie ad essi si possono fronteggiare i problemi legati alla diffusione della cronicità, possono diminuire gli accessi in pronto soccorso e si possono ridurre anche le degenze ospedaliere.
Tutto ciò diventa possibile non solo grazie all’erogazione di prestazioni e servizi, attenzione: bensì anche e soprattutto a una programmazione efficace e a una capace gestione dell’assistenza territoriale, a domicilio come nelle comunità, cose di cui l’infermiere può e deve essere pienamente responsabile.
Ovviamente, l’educazione sanitaria erogata dai professionisti a 360 gradi, riveste un ruolo primario: mi viene in mente, ad esempio, in diverse comunità così come a domicilio dei pazienti, l’importanza di un’educazione adeguata sulla corretta aderenza alle terapie, sull’alimentazione, sul rischio delle dipendenze (fumo e alcol, ad esempio), sull’individuazione di segni o sintomi da non sottovalutare, sul corretto utilizzo dei servizi di urgenza/emergenza.
Sta facendo discutere non poco la scelta di sperimentare, in diverse realtà italiane, “L’infermiere di parrocchia”. Lei cosa ne pensa?
In realtà, da ciò che ho capito, questo infermiere di parrocchia altro non è che un infermiere di comunità. Non capisco per quale motivo si sia scelta questa denominazione “parrocchiale”, però. Penso che i termini infermiere e parrocchia, infatti, siano da tenere distanti per tanti antichi motivi che non sto qui a ribadire e che questa sperimentazione, che probabilmente avrà dei risvolti molto interessanti per i cittadini, andava presentata col suo vero nome: infermiere di comunità.
La parrocchia, infatti, altro non è che uno dei punti di aggregazione che l’infermiere di comunità si trova a gestire. Uno dei tanti. Bisognerà mica creare un infermiere, con tanto di denominazione specifica, per ognuno di questi? Non credo proprio. L’infermiere di famiglia e quello di comunità, senza che vi sia la necessità di affibbiargli chissà quali altre mirabolanti denominazioni, sono già pienamente funzionanti in diverse realtà estere e possono davvero rappresentare la chiave per migliorare i servizi erogati dal nostro SSN.
Alessio Biondino
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