Oppiacei a un neonato, infermiera condannata anche in Appello

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Avrebbe somministrato morfina a un neonato ricoverato presso la Terapia intensiva neonatale dell’ospedale Borgo Roma (Verona). Il motivo? Favorirgli il sonno e tranquillizzarlo durante il turno di notte. È per questo motivo che lo scorso anno un’infermiera, F. V., è stata condannata in primo grado a tre anni e sei mesi per lesioni aggravate.

Confermata la condanna

Ebbene: la Corte d’Appello di Venezia ha confermato tutto, modificando in parte la sentenza relativamente al ruolo del responsabile civile: l’Azienda ospedaliera, che era stata esclusa in primo grado, ora dovrà rispondere in solido con l’infermiera per ciò che concerne il risarcimento del danno che sarà riconosciuto ai genitori e ai familiari del piccolo.

I fatti

Era la sera del 19 marzo 2017 quando, secondo il pm Elvira Vitulli, la sanitaria somministrò il farmaco al piccino. Eppure la donna, difesa da Massimo Martini e Stefano Zanini, ha sempre negato di avere responsabilità sull’accaduto.

Lo comunicò appena dopo il suo arresto (disposto dal gip Livia Magri) e lo confermò durante il dibattimento. Però, in qualche modo, le sue azioni di quella notte, dicono tutt’altro. Già, perché dopo che il piccino venne trovato senza tono muscolare, pallido e con chiare difficoltà respiratorie, ciò che disse l’infermiera stupì tutti: “Narcan! Facciamogli il Narcan!”.

E il piccolo, dopo la somministrazione di quell’antidoto contro gli oppiacei (naloxone), si riprese praticamente subito. Chi gli aveva somministrato, perciò, senza prescrizione medica, degli oppiacei? E con quale fine? Farlo dormire perché piangeva troppo e avere così un po’ di ‘pace’ durante il turno di lavoro?

La versione dell’infermiera

L’infermiera, nella sua deposizione, raccontò di aver tenuto in braccio il piccolo per circa mezz’ora. Dopodiché lo aveva riposto nella culla ed era andata a prendere un caffè. Poi in laboratorio e infine nella stanza con gli stupefacenti per scaricare tre fiale di morfina (prescritte ad un’altra piccola paziente).

Asserì di averla somministrata alle 22:30 e di aver poi gettato via la fiala, lasciando la siringa col farmaco rimanente sul carrello. Quindi andò a fare una telefonata di circa un’ora. Verso mezzanotte, a suo dire si accorse che il neonato sembrava ‘cotto’ e riconobbe subito i sintomi da somministrazione di oppiacei, in quanto aveva lavorato in psichiatria.

Fonte: L’Arena

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Alessio Biondino

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