Ripartire con il Coronavirus: parla l’esperto di medicina del turismo

Redazione 22/04/20
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Pubblichiamo l’intervista all’autore dell’ebook “Coronavirus Covid-19 – Cosa sappiamo e come comportarsi” edito da Maggioli e che abbiamo avuto l’onore di ospitare molti dei suoi contenuti: il Prof. Walter Pasini – presidente della Associazione Italiana Medicina del Turismo. Intervista originale di Carlo Sacchettoni su Turismoinformazioni.it.

Foto di Miroslava Chrienova da Pixabay.


Covid 19: ripartire è la sfida, ma la guerra continua

Scienziati, politici e imprenditori divisi sulle tappe della ripresa.

Virologi, infettivologi ed epidemiologi sono cauti: temono una nuova ondata di contagi allentando le misure di contenimento. Politici ed operatori economici paventano una crescita del disastro economico, se le attività produttive non riprenderanno gradualmente, ma al più presto.

Il settore turistico è davvero in ginocchio: la stagione estiva è fortemente a rischio e se la pandemia non mostrerà un significativo rallentamento nei prossimi mesi, potrebbe essere compromessa anche la futura stagione invernale, soprattutto in presenza di una possibile seconda marea dell’infezione.

Questa contraddizione tra chi frena per la riapertura e chi al contrario spinge per una graduale ripresa rischia di generare confusione. Come trovare il giusto equilibrio? Lo chiediamo al Prof. Walter Pasini, presidente della Associazione Italiana Medicina del Turismo.

La riapertura delle attività economiche ed il ritorno del quotidiano non sarà facile. Dovrà essere graduale per coniugare le esigenze di salute pubblica con quelle dell’economia e della ripresa delle attività professionali dei cittadini. Innanzitutto, va detto che il sequestro domiciliare di un intero Paese è qualcosa di assolutamente straordinario, mai verificatosi nella storia dell’umanità. Il sequestro domiciliare ai tempi della peste, descritto anche dal Manzoni nei Promessi Sposi, riguardava persone contagiate a cui veniva impedito di uscire, mai intere comunità nazionali. Si è trattato dunque di una misura con altissimi costi sociali ed economici, cui la nostra popolazione ha aderito in modo sorprendente. A questa misura ha corrisposto un rallentamento del contagio. La condizione principale per ripartire è avere conoscenza della reale diffusione dell’epidemia e la disponibilità di test diagnostici e test sierologici. Ogni nuovo caso andrà identificato il prima possibile, per isolarlo e tracciarne i contatti, mentre i test sierologici ci diranno quanti sono stati infettati. Andranno comunque continuate tutte le misure come il distanziamento fisico da persona a persona, l’uso di mascherine e il lavaggio frequente delle mani.

Un’altra incognita è come si propagheranno i percorsi epidemici nelle prossime settimane. Saranno colpite anche regioni e paesi che oggi sembrano meno coinvolti dai grandi numeri?

Sì, la mia preoccupazione è che la libertà di circolazione tra nord e sud possa propagare l’infezione nel nostro Meridione dove, grazie al blocco del traffico ferroviario e stradale e al sequestro domiciliare, il Covid per fortuna non è arrivato. Ritengo che forse sarebbe opportuno impedire il flusso di persone da nord a sud ancora per qualche mese o che le persone che vogliamo recarsi nel centro sud possano documentare di aver eseguito un test sierologico che documenti che quella persona risulta negativa. Sarebbe un pò come ritornare ai tempi della Repubblica di Venezia, quando gli stati richiedevano all’equipaggio delle navi una Patente di sanità che documentasse che quella nave proveniva da una città dove non si erano verificate pestilenze (peste, colera o altro).

Ormai è certo che nelle prime fasi della diffusione epidemica che c’è stata una sottovalutazione del rischio. Come fare per evitare futuri errori anche nella previsione di una possibile recrudescenza dell’infezione?

La sottovalutazione del rischio della pandemia si è verificata in molti paesi: Italia certo, ma anche Francia, Spagna, Regno Unito, Svezia, ma anche Stati Uniti. La Cina non ci ha certo aiutato in questo senso. Tuttora, i casi di morti per Covid certificati in quel Paese, risultano essere 3000 o poco più, un numero assolutamente sottostimato e inverosimile, che l’OMS ha accettato invece come reale. La Cina non ci aveva dato informazioni sulle caratteristiche della malattia, sulle terapie tentate, sulle modalità di trasmissione. Tutto quel che sapevamo avveniva attraverso le immagini della corrispondente RAI da Pechino che ci mostrava immagini di lockdown e di solidarietà della popolazione, manifestando grande simpatia per quel Paese ed apprezzamento per il lavoro delle autorità. Il rapporto della commissione OMS che aveva visitato la Cina nella seconda metà di febbraio ci aveva riportato informazioni insufficienti.

Quale paese nel mondo ha affrontato meglio il Covid 19 e quale paese sembra meno esposto nei prossimi mesi?

Mi sembra che la Corea del Sud sia stato il paese che abbia saputo affrontare nel migliore dei modi l’emergenza sanitaria attraverso il massiccio uso di test diagnostici e l’uso della tecnologia per il rintracciamento dei contatti. Mi sembra che abbiano risposto bene Singapore, Taiwan, Hong Kong e in Europa la Germania.

Già si parla di una possibile seconda ondata dell’epidemia in autunno, magari con focolai a macchia di leopardo sul territorio. E’ possibile prevenirla?

Sì, sarà possibile prevenirla se tutte le Regioni si doteranno di scorte sufficienti di test diagnostici, di numero di laboratori e di personale in grado di effettuarli, di personale in grado di tracciare i contatti e di tecnologie che ci aiutino a farlo, di test sierologici in grado di conoscere lo stato immunitario degli abitanti di quella regione. Penso che una seconda ondata ci troverà più preparati. Occorre imparare dagli errori commessi, avere l’umiltà di riconoscere dove abbiamo sbagliato. Credo che quello successo nelle RSA sia qualcosa di incredibile e che quindi quelle comunità possano stavolta essere protette in modo efficace. Credo che il personale sanitario possa contare su misure di protezione individuale e che la gestione degli ospedali non sia più così caotica e disorganizzata.

Per saperne di più:

CORONAVIRUS COVID-19

La storia ci insegna che da sempre le società umane combattono, ciclicamente, la loro guerra contro le epidemie, questo nemico astuto, insidioso, implacabile, e soprattutto, privo di emozioni e scrupoli. Eppure, le società umane hanno sempre vinto. Oggi il progresso scientifico e tecnologico sembra librarsi ad altezze vertiginose. Ma, nella guerra contro le epidemie, le armi dell’umanità sono e saranno probabilmente le stesse di quelle che avevamo a disposizione quando questo inarrestabile progresso aveva appena cominciato a svilupparsi, come nel XV secolo della Repubblica di Venezia, nell’800, nei primi anni del ’900. Oggi, è vero, la comunità internazionale può contare su un’incrementata capacità di sorveglianza epidemiologica, su una solida esperienza nella collaborazione tra Stati, su laboratori in grado di identificare i virus e fare diagnosi, su conoscenze scientifiche in continuo progresso, su servizi sanitari sempre migliori, su agenzie internazionali come l’OMS, l’ISS italiano e il CDC americano. Ma oltre alle conoscenze, ai vaccini e ai farmaci, all’organizzazione dei servizi sanitari, per affrontare con successo le epidemie è molto importante il senso di appartenenza alla comunità, la solidarietà sociale e l’aiuto reciproco fra persone. Di fronte ad una minaccia sanitaria, la fiducia nello Stato e nelle scelte delle autorità sanitarie, la consapevolezza del rischio e la solidarietà umana possono aver la meglio sull’ignoranza, l’irrazionalità, il panico, la fuga e il prevalere dell’egoismo che in tutti gli eventi epidemici della storia hanno avuto grande rilevanza.     Walter Pasiniè un esperto di sanità internazionale e di Travel Medicine. Ha diretto dal 1988 al 2008 il primo Centro Collaboratore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la Travel Medicine.

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