Il suicidio della studentessa infermiera Paola Ballerini riaccende, dopo tre anni dalla vicenda, il dibattito sui soprusi, a volte abusi, che i giovani in formazione sanitaria devono subire tutti i giorni e sull’urgenza di ripensare i modelli educativi e di tutoraggio nei contesti clinici.
In un panorama già segnato da disaffezione e abbandoni, questa vicenda non è solo un fatto di cronaca, ma un avviso drammatico che richiama in causa una profonda riflessione: formare non equivale a opprimere. I tempi sono ormai maturi per un cambio di paradigma formativo.
Le indagini sulla tutor e i sospetti di atteggiamenti abusivi
Il 10 maggio 2022, la studentessa infermiera Paola Ballerini si è tolta la vita appena prima di completare il percorso di studio. Le indagini, dopo tre anni, si concentrano sulla tutor: un’infermiera in servizio presso l’ospedale Santa Maria Nuova, in Reggio Emilia, dove la ragazza svolgeva tirocinio sotto la sua supervisione.
Gli inquirenti ipotizzano un abuso dei mezzi di correzione e di disciplina, aggravato dalla conseguenza di aver provocato il gesto estremo della studentessa.
A questa conclusione sono giunti attraverso la consultazione di numerose testimonianze, messaggi, chat e persino un gruppo WhatsApp chiamato “L’Incubo non ha mai fine“.
I genitori, consapevoli della pressione a cui era sottoposta la figlia, hanno da subito lottato affinché emergesse la verità sulle cause del suicidio, consegnando ogni elemento che potesse essere utile alle indagini.
L’apertura del fascicolo nei confronti dell’infermiera tutor si è arricchita di una seconda indagine. Sembra, infatti, che gli atteggiamenti dell’infermiera erano analoghi almeno in un secondo caso: attualmente un’altra studentessa si è esposta come parte offesa.
La ricostruzione del giorno del suicidio della studentessa infermiera
La ricostruzione del giorno del suicidio riporta che la studentessa avrebbe dovuto partecipare ad una riunione legata al tirocinio.
Accompagnata dai genitori alla stazione, ha deciso invece di cambiare strada, per compiere il suicidio, raggiungendo a piedi la Pietra di Bismantova, un massiccio roccioso distante più di 90 km dal luogo in cui i genitori l’avevano salutata per l’ultima volta.
Un biglietto d’addio è stato ritrovato dalle sue coinquiline, ma i soccorsi, una volta allertati non hanno potuto che accertarne il decesso.
Si attende il rinvio al giudizio per l’infermiera tutor indagata, che al momento non ha rilasciato dichiarazioni.
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La pressione a cui sono sottoposti studenti e neolaureati deve essere presa in considerazione
La vicenda riporta in auge il continuo e persistente problema della disaffezione dei giovani verso le professioni sanitarie, in particolare quella infermieristica.
Se da un lato, uno studio pubblicato su Nurse Educator ha analizzato le difficoltà incontrate dai neolaureati in infermieristica inseriti in contesti ad alta intensità come le terapie intensive e i pronto soccorso, dall’altro il rapporto Clinician of the Future 2023 segnale che il 58% degli studenti di medicina e infermieristica non prevede un futuro a contatto diretto con i pazienti.
Le motivazioni sono ormai evidenti a ogni livello, anche nell’opinione pubblica. Ma non smetteremo mai di parlarne.
Ma se questi fattori mettono in gioco persino la vita di alcuni studenti, è necessario intervenire con soluzioni concrete.
Non soltanto allo scopo di far ritornare i giovani a scegliere la professione infermieristica, ma affinché, quei pochi che lo fanno, con tanto spirito di sacrificio, vengano tutelati e protetti come un bene raro e prezioso.
Come dovrebbe essere ogni giovane studente che sceglie di fare una professione destinata alla cura degli altri.
Autore: Dario Tobruk (seguimi anche su Linkedin – Facebook – Instagram – Threads)