Un’infermiera suora a capo della Caritas: “È una che si sporca le mani”

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Ha 49 anni, si chiama Marisa Pitrella, è infermiera, è una suora, è nata a Catania da una famiglia contadina ed è stata appena scelta all’arcivescovo Mimmo Battaglia per guidare la Caritas diocesana di Napoli in quanto è “una che si sporca le mani”.

“La mia vocazione: la cura dei malati”

La donna, “Figlia della carità”, in un’intervista a Il Corriere del Mezzogiorno (VEDI) ha spiegato che solo a seguito di un incidente avuto in adolescenza ha visto la luce: “Ho capito che la mia vocazione era la cura dei malati, sono diventata ministro dell’Eucarestia e ho cominciato gli studi da infermiera”.

“Non riuscivo a farmi pagare”

Ma a quei tempi ancora non era suora: “No, quello è arrivato più tardi. Gli studi da infermiera mi hanno portato a incontrare le Vincenziane nei vari ospedali dove andavo a fare tirocinio, mi sono appassionata ai poveri.

Nel frattempo ho concluso gli studi, ma mi mancava ancora qualcosa. A 19 anni ho incominciato a fare le mie piccole prestazioni sanitarie ai pazienti ma non riuscivo a farmi pagare e il mio papà mi faceva capire che questo era poco professionale…”.

La Provvidenza

Di lì a qualche anno la decisione: “Nel ’94 annunciai in famiglia la decisione di entrare in convento. Feci comunque il concorso da infermiera e lo vinsi, la traccia che uscì era sull’assistenza ai malati di Hiv.

Quando la notizia del superamento della prova arrivò, mia madre neanche me lo comunicò: sapeva che ormai ero avviata su un’altra strada. Una strada che mi ha fatto incontrare quei malati di cui avevo scritto con tanta competenza da impressionare la commissione del concorso. Un segno della Provvidenza, visto che proprio con i malati di Aids poi mi sono ritrovata ad operare”.

“Dobbiamo sporcarci le mani”

Sui poveri: “Credo che dobbiamo appassionarci ai fratelli poveri proprio come ha fatto Cristo, la carità non è dare soldi, ma restituire dignità alle persone, va fatta a piccole gocce, è una dimensione che ho scoperto anche nella mia esperienza missionaria in Eritrea”.

E con il Covid, di certo, la povertà non è di certo diminuita: “La pandemia ha certamente fatto aumentare la povertà, in giro vedo tanta solitudine, non solo povertà economica ma anche povertà umana e morale. Questo però è il tempo giusto per ricominciare, adesso dobbiamo ripartire e sporcarci le mani”.

È una che sa ‘sporcarsi le mani’, suor Marisa. Ed è proprio per questo che è stata scelta: “Ho chiesto perché io? Il vescovo mi ha detto che sono una che si sporca le mani. E ha aggiunto: ora te le devi sporcare”.

Il carattere di professione intellettuale

Ed ecco che concetti come ‘vocazione’, ‘missione’ e ‘sporcarsi le mani’ tornano ad associarsi in qualche modo al termine infermiera. E con loro tutti quegli stereotipi duri a morire che ci descrivono come dei santi; tutto il vecchiume, i fantasmi di figure antiche e l’abisso che ancora ci separa dall’essere visti e raccontati come dei veri professionisti. Inevitabilmente.

Se è vero che, come asserito recentemente dalla presidente FNOPI Barbara Mangiacavalli (VEDI), bisogna uscire “dall’appiattimento legato a modelli vecchi e gerarchie obsolete, così da far finalmente emergere il “carattere di professione intellettuale” dell’infermieristica “e la sua capacità di far crescere esponenzialmente la qualità dell’assistenza”

Beh, almeno una certezza la abbiamo: ci vorrà ancora tempo.

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Alessio Biondino

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