Il prof. Roberto Burioni è un medico, accademico e divulgatore scientifico italiano, attivo come ricercatore nel campo relativo allo sviluppo di anticorpi monoclonali umani contro agenti infettivi e divenuto piuttosto noto grazie ai suoi interventi social sul tema dei vaccini. Con l’idea di fargli alcune domande circa la sua strenua difesa della scienza, sull’importanza dell’educazione sanitaria, sul corretto uso di internet e sul ruolo degli infermieri, abbiamo deciso di contattarlo. E lui, cordialmente, ci ha rilasciato una interessante intervista.
Innanzitutto grazie per aver accettato di chiacchierare con noi, prof. Burioni. Per me e per noi di Dimensione Infermiere è un onore riuscire a intervistare un professionista della salute del suo calibro, col suo percorso e con le sue conoscenze. E ci fa rabbrividire un po’ l’idea che un manipolo di cittadini, numerosi solo quando ci si può nascondere dietro a una tastiera, possa aver intavolato una improbabile crociata contro di lei e quindi… Contro la scienza. Perché lei è uno scienziato.
Agli inizi del suo percorso come medico, si sarebbe mai aspettato che un giorno, all’apice della sua carriera, dopo tutti i riconoscimenti che ha ottenuto, dopo tutto ciò che ha studiato, avrebbe dovuto perdere il suo prezioso tempo per difendere la scienza dagli attacchi di superstizioni, strampalate teorie e prese di posizione fondate praticamente sul nulla?
“No, sinceramente devo dire no. Proprio no. Io non avrei mai pensato di ritrovarmi in un mondo così avanzato, pieno di scienza e di tecnologia, pieno di computer, di navigatori, di telefoni cellulari avanzatissimi (cose che quando io studiavo non si potevano nemmeno immaginare) e di dover discutere con delle persone sul fatto che la terra sia piatta o tonda e sulla sicurezza/efficacia dei vaccini. Tutto ciò è stato decisamente inaspettato ma, si sa, spesso la vita ha molta più fantasia di noi e per certi versi è normale che anche questo avvenga.”
Alcune teorie degli antivaccinisti fanno sorridere tanto quanto quelle dei terrapiattisti; anzi, forse di più. La differenza tra le due categorie, però, purtroppo, è che mentre i terrapiattisti possono strappare al massimo qualche risata, gli antivaccinisti mettono a rischio la salute pubblica in nome di una presunta e per loro sacrosanta “libertà di scelta”. Possibile che non ci sia un modo semplice, efficace e definitivo per fargli capire una volta per tutte che la scienza non può e non deve essere democratica?
“Non è possibile perché sono persone irrazionali, i loro ragionamenti non si basano su meccanismi razionali, purtroppo. È un po’ come la squadra per cui tifiamo: io sono un tifoso della Lazio, ed è una scelta totalmente irrazionale, nessuno riuscirà mai a convincermi a tifare Roma, anche con le migliori motivazioni del mondo. Gli antivaccinisti non ragionano e non vogliono ragionare; perciò, secondo me, la parte più feroce degli antivaccinisti non si può convincere.”
Prima il rispetto e la speranza verso la scienza e gli scienziati erano un sentimento piuttosto comune. Poi, però, c’è stato l’avvento di internet, dei social e di Google che, a causa anche di discutibili algoritmi che spesso premiano le scemenze, ha generato delle pericolose “mode”. Come si spiega questa sorta di involuzione dell’umanità? Possibile che il progresso abbia portato per certi versi i cittadini a non affidarsi più alla scienza?
“Qualunque cosa nuova ha sempre con sé qualcosa di negativo. Non esiste qualcosa di nuovo che non porti delle conseguenze anche sgradite. Quando hanno inventato il telefono sono iniziati gli scherzi telefonici, per fare un esempio banale; quando si sono costruite le automobili sono cominciati gli incidenti automobilistici. Dobbiamo accettare il fatto che il mondo va avanti e che quando il mondo va vanti c’è sempre qualcosa che, ahimè, a volte incredibilmente, rimane indietro. Per questo bisogna a essere pronti a usare questi nuovi sistemi anche e soprattutto per controbattere efficacemente all’uso negativo che ne fanno alcuni; dobbiamo usarli anche noi e dobbiamo usarli a fin di bene.”
Visto il successo della Sua pagina Facebook, Lei ha deciso di mettere su un sito internet di divulgazione scientifica, col fine di informare in modo semplice ed efficace i cittadini. E a distanza di quasi un anno, anche il seguito del suo nuovo spazio Medical Facts (VEDI) sta crescendo a vista d’occhio. Ci parli di come sta vivendo questa nuova avventura informativa…
“Io l’ho sentito come un dovere, come un alzare l’asticella. Ho avuto la sensazione di aver stabilito un rapporto di fiducia con tutti i miei lettori e sarebbe stato davvero un peccato limitare questo rapporto di fiducia soltanto ad alcune indicazioni sui vaccini. Ci sono infatti altri temi altrettanto importanti che sono ad esempio l’alimentazione, gli stili di vita, la prevenzione, i danni dell’inquinamento; ci sono poi altre scemenze antiscientifiche da confutare.
Ho perciò ritenuto opportuno creare un sito che potesse rappresentare uno strumento utile per dare alle persone delle informazioni affidabili basate su fatti scientifici; in un mondo, quello di internet, pieno di sciocchezze. Non possiamo lamentarci che non ci sono fonti affidabili, se poi non ci impegniamo per fornire tali fonti ai cittadini.”
Professione infermiere: alle soglie del XXI secolo
La maggior parte dei libri di storia infermieristica si ferma alla prima metà del ventesimo secolo, trascurando di fatto situazioni, avvenimenti ed episodi accaduti in tempi a noi più vicini; si tratta di una lacuna da colmare perché proprio nel passaggio al nuovo millennio la professione infermieristica italiana ha vissuto una fase cruciale della sua evoluzione, documentata da un’intensa produzione normativa. Infatti, l’evoluzione storica dell’infermieristica in Italia ha subìto un’improvvisa e importante accelerazione a partire dagli anni 90: il passaggio dell’istruzione all’università, l’approvazione del profilo professionale e l’abolizione del mansionario sono soltanto alcuni dei processi e degli avvenimenti che hanno rapidamente cambiato il volto della professione. Ma come si è arrivati a tali risultati? Gli autori sono convinti che per capire la storia non basta interpretare leggi e ordinamenti e per questa ragione hanno voluto esplorare le esperienze di coloro che hanno avuto un ruolo significativo per lo sviluppo della professione infermieristica nel periodo esaminato: rappresentanti di organismi istituzionali e di associazioni, formatori, studiosi di storia della professione, infermieri manager. Il filo conduttore del libro è lo sviluppo del processo di professionalizzazione dell’infermiere. Alcune domande importanti sono gli stessi autori a sollevarle nelle conclusioni. Tra queste, spicca il problema dell’autonomia professionale: essa è sancita sul terreno giuridico dalle norme emanate nel periodo considerato, ma in che misura e in quali forme si realizza nei luoghi di lavoro, nella pratica dei professionisti? E, inoltre, come si riflettono i cambiamenti, di cui gli infermieri sono stati protagonisti, sul sistema sanitario del Paese? Il libro testimonia che la professione è cambiata ed è cresciuta, ma che c’è ancora molto lavoro da fare. Coltivare questa crescita è una responsabilità delle nuove generazioni. Le voci del libro: Odilia D’Avella, Emma Carli, Annalisa Silvestro, Gennaro Roc- co, Stefania Gastaldi, Maria Grazia De Marinis, Paola Binetti, Rosaria Alvaro, Luisa Saiani, Paolo Chiari, Edoardo Manzoni, Paolo Carlo Motta, Duilio Fiorenzo Manara, Barbara Man- giacavalli, Cleopatra Ferri, Daniele Rodriguez, Giannantonio Barbieri, Patrizia Taddia, Teresa Petrangolini, Maria Santina Bonardi, Elio Drigo, Maria Gabriella De Togni, Carla Collicelli, Mario Schiavon, Roberta Mazzoni, Grazia Monti, Maristella Mencucci, Maria Piro, Antonella Santullo. Gli Autori Caterina Galletti, infermiere e pedagogista, corso di laurea magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma.Loredana Gamberoni, infermiere, coordinatore del corso di laurea specialistica/ magistrale dal 2004 al 2012 presso l’Università di Ferrara, sociologo dirigente della formazione aziendale dell’Aou di Ferrara fino al 2010. Attualmente professore a contratto di Sociologia delle reti di comunità all’Università di Ferrara.Giuseppe Marmo, infermiere, coordinatore didattico del corso di laurea specialistica/ magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede formativa Ospedale Cottolengo di Torino fino al 2016.Emma Martellotti, giornalista, capo Ufficio stampa e comunicazione della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi dal 1992 al 2014.
Caterina Galletti, Loredana Gamberoni, Giuseppe Marmo, Emma Martellotti | 2017 Maggioli Editore
32.00 € 30.40 €
Secondo lei, professore, oggi il modo corretto di ricercare informazioni in rete e le giuste strategie per comprenderne l’attendibilità, non dovrebbero essere insegnate a scuola?
“Sì, temo proprio che sia diventato indispensabile. Una volta le notizie e i fatti scientifici venivano selezionati dai curatori delle enciclopedie, mentre adesso tutto ciò non viene più selezionato praticamente da nessuno. Come conseguenza quello che può succedere è per l’appunto che la gente non sappia più distinguere una fonte affidabile da un’altra straripante di sciocchezze e questo può portare anche a potenziali gravi danni alla salute. Quello che è certo è che, paradossalmente, in un mondo dove la cultura disponibile è a portata di mouse e di click, la cultura vera sembra diventata davvero difficile da riconoscere.”
Lo scorso giugno c’è stata la “grande” manifestazione no vax di Rimini. Praticamente erano 4 gatti accaldati, tristi e annoiati. Possiamo finalmente chiudere la fastidiosa pratica e passare ad altro o… in mancanza della formazione scolastica di cui sopra c’è ancora da stare attenti?
“Io penso che sui vaccini l’opinione pubblica abbia decisamente svoltato e cambiato strada, ormai. Però dobbiamo continuare a essere vigili, perché se possiamo effettuare qualche sospiro di sollievo per quello che riguarda i vaccini dell’infanzia, altrettanto non si può dire per i vaccini come ad esempio quello contro il Papilloma che, pur essendo sicuro, efficace e gratuito viene ancora rifiutato dalla maggioranza dei genitori (VEDI) per i propri figli adolescenti.”
L’infermiere, per profilo professionale, è un educatore sanitario. Però, per tanti motivi di cui non sto qui a discutere con Lei, qui in Italia il suo riconoscimento sociale è ancora in alto mare; e ciò nonostante la laurea, il percorso post-lauream, le responsabilità, ecc. Non pensa che il ruolo di questo professionista, da sempre a stretto contatto con pazienti e famiglie, se riconosciuto a dovere, possa essere fondamentale per informare correttamente i cittadini e per abbattere sul nascere eventuali sacche di resistenza no vax? L’infermiere di famiglia, figura che va man mano formandosi e di cui si sta discutendo in questo periodo, potrebbe avere un ruolo chiave, secondo Lei?
“L’infermiere è un professionista sanitario tanto importante quanto il medico, se non di più. I due hanno ruoli e responsabilità diverse, certo, ma l’infermiere è molto più a contatto col paziente e ciò è importantissimo anche per l’opera di educazione sanitaria; eh sì, anche per ciò che concerne le vaccinazioni e le giuste informazioni sull’argomento. Spesso, nel mondo frenetico della nostra sanità, nonostante tutto, l’infermiere riesce a stabilire coi pazienti dei rapporti e delle relazioni d’aiuto strette, più di quello che fanno i medici, e ciò diventa fondamentale anche nell’iter diagnostico-terapeutico.
Nella sanità moderna, il ruolo del professionista infermiere è fondamentale. Sappiamo bene come in altri paesi gli infermieri siano molto valorizzati e io penso che la stessa cosa debba essere fatta qui da noi da tutti i punti di vista: professionalmente, dal punto di vista del prestigio sociale.
L’infermiere non deve essere più visto come un mero aiutante del medico: è un professionista che a fianco del medico, facendo cose diverse, ma altrettanto importanti, si impegna a fare del bene per la salute delle persone e della popolazione.
Oramai credo che siano rimasti in pochi, tra i medici, a non riconoscere l’importanza e la professionalità della vostra categoria; chi non vi riconosce, di solito vuol dire che non lavora; perché chiunque viva e lavori quotidianamente in sanità, di solito conosce bene e riconosce senza problemi quanto siano fondamentali gli infermieri nel nostro SSN.
Se mai dovessi essere malato spero di avere accanto medici bravi, certo, ma infermieri altrettanto bravi. Personalmente, ritengo gli infermieri miei colleghi, perché fondamentalmente facciamo tutti lo stesso lavoro e abbiamo gli stessi obiettivi: la cura.”
Alessio Biondino
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