Vincere concorsi pubblici da raccomandati? Può essere legale

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La ‘raccomandazione’, quel favoritismo che porta un segnalatore a ‘spingere’ il candidato di una selezione per fargli ottenere un posto di lavoro o una posizione a discapito di altri (magari più bravi e meritevoli), non sempre può configurare un reato.

Raccomandazione, non è reato se…

Una recente sentenza della Cassazione, infatti, è destinata a gettare nuovamente un velo di sconforto su tutte quelle persone che fanno affidamento solo ed esclusivamente sulle proprie forze per raggiungere gli obiettivi prefissi. Che non conoscono ‘nessuno’, insomma. Oppure che, a prescindere, per educazione e integrità morale, non vi farebbero mai affidamento.

Già, perché la ‘raccomandazione’, strada facile e eticamente condannabile sia per chi segnala sia per chi viene segnalato, per la Suprema Corte non si rivela sempre una scelta illegale. Questa, infatti, risulta essere reato di abuso di ufficio quando viene messa in atto da un soggetto che appartiene alla Pubblica Amministrazione o dotato di un pubblico potere (esempio: il dirigente di un ministero che prova a convincere il presidente di una commissione esaminatrice far passare un determinato candidato).

Ma se colui che raccomanda è un soggetto privato che si limita solo a ‘segnalare’, senza cercare di corrompere un funzionario pubblico per far superare la selezione al suo ‘protetto’ e senza ricorrere al ‘falso’ (documentazione, test modificati o segnati, ecc.) durante il concorso, diventa tutto legale. Ad esempio: “Ho questo giovane davvero bravo, si è dato molto da fare per occupare quel posto. Forse non riesce a esprimersi molto bene negli esami orali, però se tu riuscissi a fare qualcosa…”

Ricevere ‘solo’ una  ‘segnalazione’ è possibile,  insomma. Ma senza corrompere nessuno. E, per fare un altro esempio,  senza far sì che alle prove concorsuali si presenti il fratello gemello più preparato. Altresì, non si possono modificare le risposte del candidato per dargli la ‘spintarella’ finale.

La sentenza

La sentenza, raccontata sul sito La Legge Per Tutti dall’Avvocato Carlos Arija Garcia (VEDI), ha assolto i membri di una Commissione universitaria che avevano sopravvalutato (per così dire) i titoli di un candidato, poi assunto a discapito di un altro.

Nel caso in oggetto si era sì configurato un ‘falso’, visto  che il curriculum del ‘protetto’ riportava una collaborazione professionale mai svolta, ma… Tutto si era estinto per prescrizione (ma va…?). Per il resto, l’assoluzione è arrivata grazie a quanto riportato nel recente Decreto Semplificazioni (VEDI): quando i pubblici funzionari hanno un margine di discrezionalità, il loro operato è insindacabile da parte del giudice penale. Anche quando qualche sussurro qua e là potrebbe in qualche modo influenzare le loro decisioni.

Perciò se prima bastava una semplice “violazione di legge o di regolamento” per poter essere incriminati e condannati, ora per essere punibili è necessaria la “violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.

L’errore, in tal senso, è stato commesso in pratica da chi ha messo insieme il bando del concorso: se il regolamento della selezione pubblica avesse indicato criteri specifici e più puntuali, la valutazione sarebbe stata obbligata e non discrezionale. Invece, di fronte ai titoli posseduti dai candidati e all’andamento degli esami del caso in oggetto, ci si era potuti muovere con valutazioni decisamente più ‘elastiche’.

La Suprema Corte ricorda che, come previsto dalla Costituzione, vi è sì il “divieto di favoritismi privati”, ma che questa previsione non è stata trasferita nell’attuale norma incriminatrice per il reato di abuso d’ufficio.

I precedenti

E’ stata la prima pronunciazione, da parte della Suprema Corte, in tal senso? Decisamente no. Nella la sentenza n.40061  (ud. 12/07/2019, dep. 30/09/2019), la sez. V, si legge:

E’ vero, infatti, che, in tema di abuso di ufficio, non è configurabile nella mera “raccomandazione” o nella “segnalazione” una forma di concorso morale nel reato, in assenza di ulteriori comportamenti positivi o coattivi che abbiano efficacia determinante sulla condotta del soggetto qualificato (ovvero in assenza di “pressioni illecite”), atteso che la “raccomandazione”, come fatto a sé stante, non ha un’efficacia causativa sul comportamento del soggetto attivo, il quale è libero di aderire o meno alla segnalazione secondo il suo personale apprezzamento (Sez. 6, n. 35661 del 13/4/2005, Berardini, Rv. 232073; Sez. 5, n. 32035 del 16/5/2014, Paccione, Rv. 261753; lo stesso principio è stato affermato da Sez. 6, n. 5777 del 28/9/2006, dep. 2007, Ferrante, Rv. 236059 in altro contesto e da Sez. 4, n. 9930 del 9/9/1985, Macrì, Rv. 170864).

Conclusioni

Viva l’Italia e buona raccomandazione legale a tutti, quindi? Ci riserviamo di leggere l’ultima sentenza per intero quando questa sarà reperibile, ma… Di sicuro, sapere che vi sono sempre più conferme circa la legalizzazione di una pratica tutta italiana che crea disuguaglianza, sfiducia nelle istituzioni, inefficienza produttiva e che uccide il concetto di ‘merito’, proviamo una rassegnata tristezza.

Autore: Alessio Biondino

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