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A cosa serve l’elettrocardiografo?
L’elettrocardiografo è in grado di rilevare i vettori elettrici prodotti dal cuore e trasferirli, attraverso un sistema di amplificazione e trascrizione del segnale, in un tracciato cartaceo o digitale. Da questo tracciato ecg, il medico o l’infermiere sarà in grado di interpretare l’elettrocardiogramma e valutare lo stato di salute del cuore, discriminando se il cuore ha un fisiologico ritmo sinusale o un’aritmia cardiaca, ovvero una patologia del ritmo cardiaco.
Questo articolo è solo una piccola parte del manuale “ECG Facile: dalle basi all’essenziale” se ti interessa l’argomento perché non dargli un’occhiata?
Cerchi un manuale per imparare a leggere e interpretare l’elettrocardiogramma in maniera semplice ed efficace? È finalmente pronto “ECG Facile: dalle basi all’essenziale” il manuale per imparare a interpretare l’elettrocardiogramma. Un testo pensato principalmente per professionisti sanitari non medici che vogliano possedere la giusta dimestichezza con quest’arte.
Il manuale ha il solo scopo di farvi sviluppare un unico superpotere: saper discriminare un tracciato normale da uno patologico, sapere quando dovrete segnalarlo al medico, e possibilmente salvare la vita del paziente.
Chi ha inventato l’elettrocardiografo?
Dopo che nel XIX secolo fu evidente a tutta la comunità scientifica che i muscoli generano elettricità, numerosi scienziati si affaccendavano per compiere esperimenti e studi scientifici al fine di conoscere, misurare e quantificare le cause e la natura di questa elettricità biologica. Numerosi fisiologi cercarono il modo più efficace per registrare l’attività elettrica del cuore, in quanto sin da subito supponevano la possibilità di utilizzare questa scoperta per scopi clinici.
Fu il fisiologo Willem Einthoven nel 1901 a migliorare l’elettrocardiografo ed eseguire un elettrocardiogramma come oggi lo conosciamo. Grazie al perfezionamento del galvanometro a corda, fu in grado di misurare le basse intensità di corrente del muscolo cardiaco a livello della cute del torace come nessun altro aveva fatto prima.
Gli anni successivi, il suo lavoro si spinse al perfezionamento della metodica e nella standardizzazione della registrazione elettrocardiografica, tanto da raggiungere una procedura di posizionamento degli elettrodi ecg standard non dissimile da come ancora oggi è adottata a livello universale, impegno che gli assicurò il Premio Nobel per la medicina nel 1924.
Il contributo scientifico di questo incredibile e instancabile professore di fisiologia non si è limitato alla sola scoperta e misurazione dei potenziali elettrici del cuore ma alla definizione del “triangolo di Einthoven”, il principio fisiologico su cui si basa l’ECG.
Come funziona l’elettrocardiografo?
Attraverso dieci elettrodi posti sul torace del paziente vengono captati dodici vettori elettrici manifestati dal cuore e condotti attraverso dei cavetti ad un amplificatore. Vengono quindi trascritti da un oscilloscopio su un rullo di carta millimetrata che scorre o, negli ultimi modelli, questi segnali vengono digitalizzati, acquisiti e possibilmente trasmessi a distanza, o semplicemente memorizzati per essere analizzati da un medico cardiologo e fare diagnosi.
Come già detto, la disposizione delle derivazioni si basa sul Triangolo di Einthoven: questo principio si fonda sulla disposizione di un triangolo equilatero sul torace del paziente, il cui centro corrisponde idealmente al cuore.
Ogni angolo della figura geometrica è idealmente coincidente con un punto di un arto specifico a cui viene assegnato un nome: VL (left, sinistra) VR (right, destra) e VF (foot, piede sinistro), l’arto rimanente, il piede destro è definito neutro e non partecipa alla formazione del triangolo.
Ognuno di questi punti, guarda elettricamente il cuore dal proprio punto di vista, VL da sinistra, VR da destra e VF dal basso, ma è nella reciproca visione di due punti alla volta che il bipolo cardiaco (un polo positivo e un polo negativo) riesce a registrare gli eventi elettrici che si dipanano dal cuore posto al centro.
Come si usa l’elettrocardiografo?
Seppure i modelli possono variare in molte funzioni, tutti i dispositivi devono possedere una serie di funzionalità standard e simboli universali. Questo rende più semplice all’operatore utilizzare l’elettrocardiografo.
Posizionati gli elettrodi sul torace ed eventualmente inseriti i dati del paziente, ricercare sempre il tasto START/STOP che avvia o interrompe la registrazione, insieme ad un altro tasto spesso chiamato MOD (modalità automatica/manuale) spesso posizionato vicino a al tasto di avvio, permette la modalità di registrazione automatica, in cui il risultato è un foglio in cui le 12 derivazioni sono divise in due colonne con 6 derivazioni ciascuna oppure in altri formati preimpostati dalla ditta produttrice, alcune informazioni supplementari e spesso un’autodiagnosi da tenere poco a considerazione (l’errore di interpretazione della macchina è molto alto).
Un terzo tasto fondamentale è il SENS di sensibilità o AMP di ampiezza che permette di impostare quanto deve essere graficamente ampia l’oscillazione del tracciato. Lo standard di sensibilità è di 10mm/mV ma potrebbe esservi richiesto di raddoppiare la sensibilità a 20 mm/mV per rintracciare alcuni segnali nel tracciato non ben visibili a quel livello.
Infine un terzo pulsante di settaggio universale in tutti gli elettrocardiografi è il tasto SPEED, serve a regolare la velocità di scorrimento del rullo di carta millimetrata. Anche qui esiste uno standard che è di 25mm/sec ma diverse velocità possono risultare utili per aumentare i dettagli temporali del tracciato elettrocardiografico.
Quanti tipi di elettrocardiografi esistono?
Esistono diversi strumenti per eseguire un elettrocardiogramma ma il funzionamento alla base è lo stesso. Alcuni elettrocardiografi sono così piccoli da poter essere contenuti in un taschino e indossati dal paziente che potrà tenerlo con sé per almeno 24 ore nell’esame chiamato Holter cardiaco o ECG dinamico secondo Holter.
Guida al monitoraggio in Area Critica
Il monitoraggio è probabilmente l’attività che impegna maggiormente l’infermiere qualunque sia l’area intensiva in cui opera.Non può esistere area critica senza monitoraggio intensivo, che non serve tanto per curare quanto per fornire indicazioni necessarie ad agevolare la decisione assistenziale, clinica e diagnostico-terapeutica, perché rilevando continuamente i dati si possono ridurre rischi o complicanze cliniche.Il monitoraggio intensivo, spesso condotto con strumenti sofisticati, è una guida formidabile per infermieri e medici nella cura dei loro malati. La letteratura conferma infatti che gli eventi avversi, persino il peggiore e infausto, l’arresto cardiocircolatorio, non sono improvvisi ma solitamente vengono preannunciati dal peggioramento dei parametri vitali fin dalle 6-8 ore precedenti.Il monitoraggio è quindi l’attività “salvavita” che permette di fare la differenza nel riconoscere precocemente l’evento avverso e migliorare i risultati finali in termini di morbilità e mortalità.Riconosciuto come fondamentale, in questo contesto, il ruolo dell’infermiere, per precisione, accuratezza, abilità nell’uso della strumentazione, conoscenza e interpretazione dei parametri rilevati, questo volume è rivolto al professionista esperto, che mette alla prova nelle sue conoscenze e aggiorna nel suo lavoro quotidiano, fornendo interessanti spunti di riflessione, ma anche al “novizio”, a cui permette di comprendere e di utilizzare al meglio le modalità di monitoraggio. A cura di:Gian Domenico Giusti, Infermiere presso Azienda Ospedaliero Universitaria di Perugia in UTI (Unità di Terapia Intensiva). Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche. Master I livello in Infermieristica in anestesia e terapia intensiva. Professore a contratto Università degli Studi di Perugia. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane ed internazionali. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.Maria Benetton, Infermiera presso Azienda ULSS 9 di Treviso. Tutor Corso di laurea in Infermieristica e Professore a contratto Università degli Studi di Padova. Direttore della rivista “SCENARIO. Il nursing nella sopravvivenza”. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.
a cura di Gian Domenico Giusti e Maria Benetton | 2015 Maggioli Editore
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Altri invece sono piuttosto ingombranti e vanno trasportati con un carrello apposito fino al letto del paziente o nei pressi di una cyclette o di un tapis roulant per un ECG da sforzo. Ancora, al domicilio dei pazienti, alcuni dispositivi portatili possono essere collegati tramite wi-fi alla rete internet e i tracciati possono essere letti da remoto da cardiologi distanti anche centinaia di chilometri.
Autore: Dario Tobruk (Profilo Linkedin)
Per saperne di più:
Come leggere l’ECG: un metodo per imparare l’elettrocardiogramma
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