Dall’Emozionario dei professionisti sanitari: come comunicare nella crisi

Redazione 10/01/22
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Nelle situazioni di emergenza, come quella che il mondo sta affrontando, cresce l’importanza di una buona comunicazione, sia come bussola per orientarsi nell’incertezza e gestire la grande quantità di informazioni provenienti da una molteplicità di fonti che si diffondono rapidamente nella società, sia come strumento di cura intesa in tutte le accezioni del termine e in tutti i contesti in cui la cura può avvenire.

Quali elementi definiscono una comunicazione di qualità

Herbert Paul Grice, uno dei massimi esponenti della “filosofia del linguaggio ordinario” e studioso di pragmatica, negli anni 70’ ha fissato regole fondamentali della conversazione fra individui soggetti a quello che lui definisce Principio di cooperazione:

Conforma il tuo contributo conversazionale a quanto è richiesto, nel momento in cui avviene, dall’intento comune accettato o dalla direzione dello scambio verbale in cui sei impegnato“.

Il principio di cooperazione è una convenzione sociale e culturale che ci aiuta a interpretare il significato contestuale di un enunciato, ovvero la sua implicatura conversazionale, ed è sostanzialmente regolato da quattro massime conversazionali:

  • della quantità: “Sii appropriato sotto il profilo della quantità di informazioni”;
  • della qualità: “Non dire cose che credi false o che non hai ragione di credere vere”;
  • della relazione: “Dai un contributo pertinente ad ogni stadio della comunicazione”;
  • della modalità: “Esprimiti in modo chiaro, breve, ordinato”.

Il principio di Grice è descrittivo, può quindi accadere che venga disatteso, violato o contraddetto. Sappiamo che la comunicazione umana è ridondante e che c’è sempre un arco di distorsione tra quel che io dico e quel che l’altro riceve dal mio dire.

Sappiamo che, nelle relazioni professionali, il contesto è importante per raggiungere i risultati attesi e ridurre l’ampiezza della distorsione del messaggio che si vuole trasmettere.

Inoltre sappiamo che il vissuto dell’altro risuona in noi, e, se è fatto di dolore, ci addolora; quando il contesto non ci consente azioni che siano in sintonia con i nostri valori e le nostre convinzioni in relazione agli stati interni che l’altro ci sollecita, entriamo in conflitto con noi stessi ed abbiamo l’inconscio bisogno di proteggerci, così mettiamo in atto fisiologici meccanismi di difesa dell’Ego.

Sappiamo anche che nella relazione d’aiuto una buona comunicazione interpersonale è strumento di lavoro irrinunciabile per raggiungere i propri obiettivi di sostegno all’altro.
Ci sono due presupposti che devono essere soddisfatti per essere in grado di sostenere la richiesta d’aiuto:

  • la capacità di restare sé stessi, in uno stato di equilibrio del sé all’interno della relazione
  • la capacità di comprendere empaticamente il mondo dell’altro senza restarne invischiati e senza dare giudizi.

Quali sono i rischi per la comunicazione nella crisi

Per usare le proprie competenze professionali/relazionali ed essere terapeutici è necessario stare bene nel fisico e nello spirito, ed agire in un contesto favorevole all’applicazione di tutti i codici di una buona relazione d’aiuto.

Da due anni i professionisti sono quotidianamente impegnati a fronteggiare l’epidemia e, nei vari contesti del Servizio Sanitario, stanno combattendo una lunga guerra di trincea.

Turni di lavoro incalzanti, riduzione di risorse umane e in alcuni casi precarietà organizzativa; essere chiamati a intervenire in discipline diverse da quelle di appartenenza; la possibilità di trovarsi a fronteggiare condizioni critiche che richiederebbero maggiore esperienza, sono elementi organizzativi che appesantiscono il vissuto emotivo dei professionisti.

L’impossibilità di fornire un maggiore supporto ai pazienti in isolamento, la fatica legata all’utilizzo dei dispositivi di protezione, sono condizioni che mettono a dura prova i prerequisiti di una relazione che sia davvero d’aiuto.

Sorge il conflitto emotivo tra il bisogno di corrispondere al mandato deontologico di aiutare il paziente e prendersene cura e il principio di sopravvivenza che spinge ad aumentare la distanza dal dolore dell’altro per difendersi dal rischio di esserne travolti.

Il carico di lavoro aumentato riduce il confronto con i colleghi e complica i rapporti tra i diversi livelli organizzativi e il rapporto con i pazienti può cambiare. Emozioni di rabbia, ostilità, frustrazione, senso di impotenza, sintomi depressivi e stati d’ansia, insonnia, possono indurre l’operatore ad isolarsi.

Possono presentarsi i sintomi del trauma vicario: fenomeno che deriva dal coinvolgimento empatico tra chi svolge una professione d’aiuto e coloro che sono vittime effettive di un trauma in prima persona.

Al trauma vicario può seguire, poi, il burnout (Beck 2011; Ricard 2015), drastica conseguenze della scarsa qualità di vita professionale nelle professioni d’aiuto che comporta la perdita d’interesse nei confronti delle persone a cui il professionista dovrebbe rivolgere le proprie attenzioni.

Spesso il coinvolgimento degli operatori nell’emergenza è tale da non lasciare spazio all’elaborazione di una risposta psicologica o alla formulazione di una richiesta d’aiuto.

C’è bisogno di uno spazio e un tempo dove i professionisti possano confrontarsi e affrontare, con la presenza di esperti, competenti su aspetti etici e relazionali, temi che riguardano la riflessione etica nella cura.

Restituire la parola al vissuto degli operatori che si incontrano per parlare della fatica e della paura, della morte e delle emozioni che accompagnano il lavoro di cura è un’azione di controtendenza rispetto ai “ritmi” imposti dall’azienda, a discapito del benessere malato/ curante.

Come può aiutare il gruppo

Gli studi di psicologia sociale hanno introdotto da tempo il concetto secondo il quale “il gruppo è maggiore della somma delle singole parti”. Questo assunto si basa sull’idea che il gruppo abbia caratteristiche proprie, come l’interdipendenza, il senso di appartenenza, l’influenza reciproca dei suoi membri e obiettivi comuni.

In tempo di covid si sta rivelando importante armonizzare le motivazioni personali e le abilità dei singoli verso un obiettivo comune perché, attraverso il perseguimento dell’obiettivo, si è dimostrato che è possibile gestire meglio la frustrazione e l’angoscia che questo periodo comporta per chi lavora in sanità.

Gli incontri di gruppo si ritiene possano aiutare a rielaborare il vissuto degli operatori, in funzione del loro benessere.

Dare tempo alla riflessione, alla condivisione dello smarrimento, al conforto di raccontare i gesti di cura che attraversano il lavoro sanitario significa aprire spazi di benessere non misurabili secondo indici di performance operativa.

L’etica è la riflessione sulla compatibilità del proprio sistema di valori, e dei comportamenti ad esso direttamente collegabili, con una data morale che, il più delle volte è iscritta in una norma o in un gruppo di norme. (per i professionisti iscritti ad un albo nelle regole del Codice deontologico).

L’insegnamento dell’etica ha a che fare di più con l’apprendere un metodo piuttosto che un contenuto.

Occorre allora, piuttosto che insegnare l’etica, fornire uno spazio e un tempo alle persone per riflettere individualmente e collettivamente sulle proprie scelte, accettare che un “altro da me” possa mettere in discussione i comportamenti che assumo, proprio in virtù del fatto che tali comportamenti sono lo specchio di una riflessione (o di una mancata riflessione) su ciò che è giusto e ciò che non è giusto fare quando si è nella delicata posizione di dover affrontare scelte che comportano un conflitto di valori e sentimenti.

L’esperienza del gruppo “L’Emozionario dei professionisti sanitari”

Il gruppo che ha fondato il progetto “L’Emozionario dei Professionisti Sanitari” ha sperimentato come attraverso “il fare insieme“, sia stata e continui ad essere possibile una progressiva trasformazione interiore per cambiare l’atteggiamento con cui affrontiamo le situazioni spossanti che la vita ci propone.

Abbiamo verificato che sviluppare la creatività per trovare risposte a problemi sui quali ci mancano troppi elementi di conoscenza, è più facile in gruppo.

Nel sistematico confronto attraverso la produzione di attività di cui insieme è stato condiviso l’avvio, stiamo imparando a rispettare una serie di processi, psicologici, motivazionali e pratici, necessari per diventare un efficace ed efficiente gruppo di lavoro.

La modalità utilizzata sono gli incontri Facebook, che ci servono per garantirci e garantire a chi ci segue uno spazio di tregua, per riflettere sull’esperienza che stiamo vivendo, condividere il malessere, imparare a gestire lo stress e occuparsi della propria salute mentale per mantenere la salute fisica.

La presenza di esperti in varie discipline offre strumenti quali mindfulness, comunicazione efficace, coaching   per apprendere e saper utilizzare strategie individuali di gestione delle difficoltà (coping) che possano aiutare a superare una situazione completamente nuova e senza precedenti come l’emergenza da COVID-19.

Tutto questo avviene in un’ottica di promozione di azioni di resilienza applicata attraverso iniziative quali “Lo Zainetto del Benessere” e “La settimana della consapevolezza infermieristica

Noi, dell’Emozionario mettiamo a disposizione la nostra esperienza per costruire mulini a vento ed offrire una possibilità di supporto per ricostruire, rielaborare, ripartire.

Con nuovi strumenti, nuove prospettive, nuovi modi.

Riflessioni in conclusione

Prendersi cura non è mai un “lavoro qualunque”, significa “abitare” uno spazio tra il Sapere e la Sofferenza, e in questo “luogo” gli infermieri sono chiamati a essere sempre efficienti e in grado di rispondere sia ai bisogni dei malati che delle Dirigenze.

Mai come oggi è necessario prendersi cura di chi cura!

Dare tempo alla riflessione, alla condivisione dello smarrimento, al conforto di raccontare i gesti di cura e gli sguardi di gratitudine di coloro che ricevono questi gesti, significa aprire spazi di benessere non misurabili secondo indici di performance operativa.

Offrire la possibilità di un supporto psicologico, individuale o di gruppo, una maggior comunicazione con la leadership decisionale e una formazione adeguata sono solo alcuni degli strumenti che possono essere utilizzati e migliorati per preservare la salute mentale degli operatori sanitari.

L’emergenza Covid-19 ha acceso i riflettori sulla tutela del benessere psichico ed emotivo dei professionisti sanitari, l’esperienza maturata deve essere un punto di partenza per l’attuazione di nuovi protocolli, lo sviluppo di nuovi strumenti e il loro utilizzo concreto su tutto il territorio nazionale.

Questo è necessario oggi per rispondere all’emergenza Coronavirus e consente di trovarci preparati nel caso di nuove emergenze.

Autrice: Ivana Carpanelli (Linkedin)

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