Infermieri in fuga dagli ospedali di Emilia, Liguria e Friuli: “Un vero e proprio esodo”

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Intanto che il Governo cerca di aumentare il numero dei medici (VEDI) e di partorire una nuova figura a basso costo che “pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale infermieristico” (VEDI“Nuove figure per ‘compensare’ la carenza di infermieri? Una sconfitta generale”), gli infermieri (quelli veri) fuggono dagli ospedali.

E lo fanno davvero, con numeri che si fanno sempre più impressionanti. Ancora una volta, a lanciare l’allarme è il sindacato Nursing Up tramite un comunicato del suo presidente nazionale, Antonio De Palma: «Siamo nel pieno di un vero e proprio esodo di professionisti sanitari, letteralmente in fuga dal nostro sistema sanitario nazionale.

In particolare a svuotarsi sono i pronto soccorsi e i reparti nevralgici degli ospedali del Nord, con particolare riferimento all’Emilia Romagna e alla Liguria, che vivono in questo momento la drammatica realtà di una vera e propria fuga di infermieri. Decine e decine di operatori sanitari, dal 2022 a oggi, hanno rassegnato e continuano a rassegnare, giorno per giorno dimissioni volontarie».


I motivi sono sempre gli stessi (stipendi da fame, responsabilità enormi, stress insostenibili, scarso riconoscimento, sfruttamento e demansionamento, ecc.) e oramai non fanno più notizia. Ma «Questa volta i numeri, davvero preoccupanti, evidenziano, da una parte, un pericoloso percorso di abbandono volontario, con rinuncia anche a contratti a tempo indeterminato nella sanità pubblica, per scegliere, chi decide di restare nel mondo della sanità opta per questa soluzione, una libera professione che consente ritmi di lavoro meno stressanti e soprattutto la possibilità di ‘prendersi maggiormente cura’ della propria vita privata e dei propri familiari» sottolinea De Palma.

Che chiarisce: «Gli ultimi mesi, neanche a dirlo, ancora una volta i più difficili per la sanità pubblica italiana, raccontano di una vera e propria fuga volontaria di infermieri dal Nord verso il Sud. Insomma, molti professionisti decidono di tornare nelle proprie terre di origine, optano per una soluzione drastica, spesso loro malgrado, che consenta loro, in particolar modo, di far fronte a spese quotidiane, che nel Mezzogiorno sono decisamente meno pesanti.


Non è più, quindi, solo una questione di turni massacranti, causati dalla carenza di personale, e di realtà sanitarie che negano loro da tempo addirittura le ferie: al nord come al sud cambia ben poco, ma è il costo della vita ad essere più basso.

La situazione degli ospedali del Sud non è quindi certo migliore, le difficoltà sono le medesime, il caos dei pronti soccorsi è lo stesso, peggiore e insostenibile è la situazione delle violenze perpetrate durante le ore notturne ai danni degli operatori sanitari, quando non ci sono presidi di pubblica sicurezza attivi, con la Campania che rimane ai primissimi posti per numero di aggressioni.

La verità che si nasconde dietro questa fuga è una e una sola: lo stipendio medio di poco più di 1.400 euro netti, escluse le premialità e gli straordinari, non consente a un giovane infermiere di mantenersi in una città come Bologna o come Genova. Impossibile arrivare a fine mese, con l’aumento del costo della vita a pesare come ogni giorno come un macigno. Immaginate poi, se questi infermieri originari del Sud, sono over 30 e hanno anche famiglia e figli a carico, e c’è un solo stipendio su cui contare».


«Se nel 2022 – continua il presidente nazionale Nursing Up – avevamo evidenziato una situazione preoccupante per regioni come Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Veneto, con ben 1.530 dimissioni di operatori sanitari, proprio in Friuli, negli ultimi tre anni, per la maggior parte infermieri, adesso nell’occhio del ciclone ci sono l’Emilia Romagna e la Liguria.

Inutile negare che, a fronte delle uscite, non esiste assolutamente un piano di assunzioni capillare, anche perché i bandi dei concorsi regionali vanno praticamente deserti: è come un cane che si morde la coda, la ragione è sempre la stessa. Le proposte economiche rispetto alle responsabilità sulle spalle di questi professionisti vengono ritenute decisamente inadeguate.

A monte, quindi, la motivazione principale legata a questa drammatica fuga è la triste condizione delle retribuzioni dei nostri infermieri. Se poi aggiungiamo i disagi che da sempre il nostro sindacato denuncia, come disorganizzazione, turni massacranti, l’essere spesso addirittura costretti ad accumulare ferie su ferie a causa della carenza di colleghi, senza poter esercitare il legittimo diritto ai riposi periodici, fondamentale per un indispensabile recupero psico fisico, si comprende bene come una parte di questi professionisti decida di lasciare addirittura la professione, oppure di optare per l’apertura di una partita iva come libero professionista. La triste realtà delle ferie negate non è certo una novità ma rappresenta l’apice di un tortuoso percorso, che ci ha condotti, tutti, in un vicolo cieco.


Aumenta, di netto, giorno dopo giorno, la voragine di operatori sanitari: chi resta sul campo deve sopperire alla pericolosa mancanza di colleghi e soprattutto è a rischio, molto spesso, la funzionalità e la vita degli stessi reparti chiave, a causa della penuria di personale. Non è certo una novità che sono molti i reparti che vengono accorpati, con tutte le conseguenze del caso per la qualità dei servizi sanitari offerti ai cittadini.

Di base la professione infermieristica, con situazioni organizzative di questo tipo, continua a perdere di appeal agli occhi dei giovani, che dovrebbero scegliere i nostri percorsi di studio: questo lo dimostrano i recenti dati della Liguria.

L’ateneo genovese, al corso di scienze infermieristiche, si troverà per la prima volta ad avere più posti, 460, rispetto ai 448 candidati per accedere al corso di laurea: numeri che ci dicono, senza mezzi termini, che siamo di fronte a una situazione che rischia di diventare senza ritorno».

Cosa dice la politica? Beh, «i dati dell’Ufficio Statistiche del Ministero della Salute, aggiornati al 2021, in merito al numero reale di operatori sanitari dipendenti del nostro sistema sanitario nazionale, dicono che c’è stato un flebilissimo aumento di assunzioni, poco più del 2%. Manca quindi, ancora, quel tanto decantato piano di investimento sulle risorse umane, che di fatto pare non essere arrivato nemmeno in piena emergenza sanitaria», conclude Antonio De Palma.

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Alessio Biondino

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