Trombosi, anche senza Covid e vaccini fa 200.000 morti l’anno

La trombosi uccide più del cancro al seno, di quello alla prostata, degli incidenti stradali e dell’AIDS messi insieme. Eppure fino a non molti giorni fa due italiani su tre non sapevano nemmeno cosa fosse.

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La trombosi uccide più del cancro al seno, di quello alla prostata, degli incidenti stradali e dell’AIDS messi insieme. Eppure fino a non molti giorni fa due italiani su tre non sapevano nemmeno cosa fosse.

Che cosa è la trombosi?

Quasi totalmente sconosciuto ai più fino a pochi giorni fa, oggi il termine “trombosi” è uno di quelli più digitati nei motori di ricerca. Già, perché a causa delle presunte/sospette reazioni avverse al vaccino dell’azienda biofarmaceutica anglo-svedese Astrazeneca, ormai i cittadini non sentono praticamente parlare d’altro e fanno di tutto per informarsi.

Eppure la trombosi c’è sempre stata, ha causato e causa ancora tantissimi morti, molto più frequentemente nella popolazione generale che in quella vaccinata contro il Coronavirus.

Ma che cos’è di preciso? Di per sé, la trombosi non può essere definita una malattia: è piuttosto la causa che determina diverse patologie, che poi prendono il nome dall’organo colpito. I meccanismi che ne sono alla base generano dei coaguli ematici (i trombi) che vanno ad occludere vene, arterie e che di conseguenza causano infarti del miocardio e ictus. Ma non solo: questi “tappi” di sangue sono anche responsabili di trombosi venose profonde, arteropatie periferiche e di embolia polmonare.

Quante persone colpisce? E chi rischia di più?

Si stima che i meccanismi alla base della trombosi causino circa il 25% di tutti i decessi che si verificano ogni anno nel mondo e che in Europa si muoia annualmente più di questa causa che per il cancro al seno e alla prostata, per gli incidenti stradali e per l’AIDS messi insieme (dati EHN, European Heart Network).

Le cause predisponenti sono genetiche, come le mutazioni per trombofilia, oppure transitorie. Tra queste ultime, per fare degli esempi,  possiamo inserire gli interventi chirurgici, i ricoveri ospedalieri a vario titolo, la febbre, la gravidanza, il parto, l’allettamento, le terapie ormonali, le neoplasie e la chemioterapia.

Anche alcuni tipi di anemia su base ereditaria (come quella falciforme), la polmonite e la BPCO (broncopneumopatia cronico ostruttiva) predispongono a un rischio piuttosto elevato di sviluppare eventi trombotici.

E poi c’è la Covid-19, che rappresenta una ulteriore e comprovata potenziale causa di trombosi. Tanto che la tromboembolia polmonare è una delle complicanze più gravi e temute dell’infezione da SARS-CoV2.

L’ infermiere di famiglia e di comunità

Nella dialettica tra comunità, persona, famiglia e sistema solidale, una dialettica oggi sempre più difficile a causa dei mutamenti demografici in atto, si inserisce l’infermiere di comunità e di famiglia: due aree di competenza differenziate e complementari, che obbligano a un ripensamento profondo del ruolo e della professione, dal punto vista clinico, sociale e organizzativo. In queste pagine l’attenzione si concentra su storie che riuniscono, senza soluzione di continuità, bambini, adulti, anziani e le loro comunità. Storie dove le competenze e le capacità tecniche storiche dell’infermiere sorreggono quelle innovative. in cui le relazioni intense dei protagonisti mettono in moto la creatività e la capacità di attivare risorse, anche eterodosse, per sviluppare interventi partecipati di prevenzione e percorsi assistenziali condivisi e personalizzati. Apparirà ancora più chiaro che l’assistenza non può e non deve essere standardizzata, ma deve essere personalizzata a seconda delle esigenze delle persone e delle caratteristiche delle comunità. “Questo libro – tecnico e coinvolgente – dovrebbe finire in mano a tante persone… Sono pagine che parlano alle nostre esistenze. Alla vita di chi ha dedicato le proprie giornate al sociale. a chi si è appena affacciato a quello che, probabilmente, domani sarà il suo lavoro. a coloro che comunque nutrono interesse, più con il cuore che con la mente, a fatti e vicende che toccano uomini e donne soprattutto nel periodo della difficoltà e dell’abbandono” (dalla Presentazione di don Mario Vatta).

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Vaccino Vaxzevria e trombosi: vi è o no correlazione?

In seguito allo stop olandese del vaccino Vaxzevria prodotto da AstraZeneca, in molti hanno ripreso a farsi domande circa la sicurezza del farmaco anti Covid in questione. Lo hanno fatto i cittadini, certo, terrorizzati e sempre più confusi a causa delle tante e incomplete informazioni fornite dai media, ma… Fortunatamente non solo loro.

Infatti dopo che l’Ema (European Medicine Agency), nel suo recente verdetto (basato su dati che parlavano di 5 casi di trombosi su 11 milioni di dosi di vaccino iniettate), ha specificato che un nesso causale con il vaccino non è dimostrato, ma è possibile e ulteriori analisi sono in corso”, vi sono stati degli aggiornamenti piuttosto importanti.

Nuovi dati, insomma, che sono stati pubblicati dall’autorità di controllo dei medicinali del Regno Unito (Mhra, Medicines and Healthcare products Regulatory Agency) e secondo cui sarebbero 30 i casi avversi su oltre 18 milioni di vaccini somministrati, ovvero 1 su 600 mila.

L’agenzia britannica ha perciò concluso che, nonostante non si possa escludere che gli eventi trombotici avversi descritti siano legati al vaccino, i benefici del preparato di Astrazeneca continuano a superare di gran lunga i rischi.

Come ha sottolineato anche l’ematologa Lidia Rota Vender, presidente di ALT (Associazione per la lotta alla trombosi), i casi di trombosi che in questo momento si trovano sotto alla lente di ingrandimento degli scienziati “possono essere una coincidenza temporale. Non dobbiamo dimenticare che ogni anno in Italia ci sono 600.000 casi e 200.000 persone che muoiono per malattie da trombosi”.

La dottoressa ha anche provato a rassicurare tutti quei soggetti che, almeno in teoria, sarebbero più a rischio: “A chi ha un maggior rischio di trombosi, perché magari ha già avuto un evento di trombosi, o presenta una mutazione in alcuni fattori della coagulazione, come il fattore V di Leiden o II della protrombina (frequenti, queste ultime due, fino a 5 persone su 100) e ha già fatto la prima dose di vaccino può stare tranquillo. Anche chi deve fare la seconda può stare tranquillo.”

Per quanto riguarda chi non ha ancora fatto la prima dose e che presenta questi fattori di trombofilia, invece, la Vender conclude che “può sentire il proprio medico curante per fare una valutazione del proprio rischio. Ma dobbiamo aspettare l’esito delle ricerche scientifiche, visto che al momento non abbiamo notizie certe né dei pubblicati”.

Autore: Alessio Biondino

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Alessio Biondino

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