Come sarà il lavoro dell’infermiere nel futuro? Ecco come ci andrà a finire

Dario Tobruk 29/07/22
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Il mondo è già cambiato, l’infermiere anche. Le ambizioni professionali di migliaia di infermieri italiani si scontrano con tutta una serie di contingenze socio-economiche che, dettate da fenomeni storici quali la globalizzazione e le continue crisi economiche, politiche, sanitarie, accompagneranno in qualche modo il lavoro e la vita di tutti noi.

Gli infermieri meritano e desiderano maggiori competenze, un’importante presenza nei processi sanitari e decisionali, migliori condizioni lavorative e, least but not last, uno stipendio adeguato alle responsabilità e al ruolo di un professionista fondamentale nel processo terapeutico del paziente. Ma, nel dibattito sul futuro del lavoro dell’infermiere qualcuno sta pensando a come sarà il mondo nei prossimi 50 anni?

Come sarà il lavoro dell’infermiere nel futuro?

Non parlerò dei singoli e possibili percorsi specialistici che la sanità potrebbe richiedere agli infermieri più motivati: primary nursing, case management, risk manager, PICC team, infermieri di famiglia ecc.. non sono più percorsi fantascientifici ma assodate figure che nei prossimi anni potrebbero fare pianta stabile degli organigrammi della sanità.

Quello che mi sono chiesto è come sarà il quadro sociale e generale (italiano e mondiale) della professione. Quali condizioni si prospettano per gli infermieri del futuro prossimo e lontano? Saremo ricchi o poveri? Soddisfatti o frustrati? Stabili o precari? Dipendenti o autonomi? In che direzione stiamo andando?

Basta una rapida ricerca sul web per confermare che il progressivo invecchiamento della popolazione europea ed americana confermi un trend positivo per la categoria: gli infermieri serviranno (quasi per) sempre.

In un modo o nell’altro la domanda di lavoro “dovrebbe” essere sufficiente per il mercato europeo, e raggiungere un possibile saldo tra domanda e offerta solo nel 2040.

Ma in che condizioni lavoreranno gli infermieri?

Ovviamente non avendo a disposizione la mia personale palla di cristallo, ho cercato le probabili risposte negli scritti disponibili dei principali esperti socio-economici e del lavoro a disposizione tra la saggistica italiana ed internazionale.

Tra le più interessanti previsioni, è dirimente riportare il pensiero di due saggisti, tra i tanti, che parlano nei loro testi anche di infermieri:

  • Jacques Attali, plurilaureato (economia e ingegneria), dottorato in economia, saggista prolifico, professore universitario, consigliere speciale dell’ex-presidente della Repubblica Francese Mitterland, consulente e banchiere internazionale. Non l’ultimo arrivato, quindi. Con il suo famoso saggio sociologico “Breve storia del futuro” descrive i possibili scenari dei prossimi 50 anni.
  • Lorenzo Cavalieri, MBA presso il Politecnico di Milano, ex responsabile commerciale, consulente e formatore di capitale umano, esperto di lavoro. Con il suo “Il lavoro non è un posto” parla ai genitori dei figli del terzo millennio, prevede e consiglia le migliori mosse da fare per accompagnare i propri pargoli verso il miglior futuro possibile. Leggerlo a 30 anni passati ha lo stesso effetto. Nella seconda parte affronteremo le sue previsioni.
Se sei interessato al presente e al futuro della sanità:

L’infermiere del futuro nel mondo, sopravvissuto della classe media ma nomade e precario secondo J. Attali.

Disoccupazione tecnologica e mercificazione del tempo

Secondo J. Attali, sarà dura. Nel futuro intorno al 2040, il bene indispensabile sarà il tempo: indisponibile e non accumulabile. Quando il capitalismo renderà acquistabile pressoché ogni prodotto, l’unico oggetto dei desideri su cui ruoterà l’economia sarà il tempo. Unica risorsa irriproducibile, nessuno potrà venderlo e quindi accumularlo.

Tutti i lavori senza valore aggiunto saranno sostituiti da una macchina, un robot o nei migliori dei casi delocalizzato verso paesi poveri e del terzo mondo. I capitali in un mondo senza barriere vireranno tra uno Stato e l’altro senza lealtà e senza regole. Senza guardare troppo avanti: l’ex-Fiat oggi Stellantis è già tutto fuorché nostrana, nonostante tutti i sovvenzionamenti statali in Italia sono rimaste solo poche fabbriche di rappresentanza!

Competizione tra dipendenti e morte del “posto fisso”

Tra i lavoratori di un’impresa qualsiasi la competizione sarà altissima perché tutte le aziende premeranno per ottenere vantaggi a brevissimo termine quindi anche per la sanità, in Italia aziendalizzata dal 92‘, e per gli infermieri varrà questo principio:

Il professionista sanitario dovrà dimostrare il proprio contributo al raggiungimento del “prodotto” finale ossia la guarigione del paziente (cliente). Per questo verrà continuamente giudicato sul proprio operato e in caso ritenuto negativo sostituito.

Per tutti i dipendenti pubblici ho una pessima notizia; secondo il saggista, gli Stati indeboliti da un capitalismo totalizzante, e privi di autorità di fronte ad un mondo troppo grande per la sua classe politica, privatizzeranno ogni servizio pubblico: sicurezza, sanità e istruzione compresi.

In poche parole, non esisterà più il classico “posto fisso“. Nessun diritto acquisito reggerà di fronte alle contingenze economiche, il lavoro non sarà sicuro per nessuno, forse non oggi ma sicuramente domani (ossia nei prossimi decenni).

Quindi la sicurezza del proprio posto di lavoro potrebbe non essere più garantita dalle leggi e dai sindacati, ma solo dalla propria formazione professionale iniziale e continua.

Lavorare poco ma fino ai settant’anni.

Calo della natalità, allungamento della speranza di vita e pessime politiche previdenziali imporranno l’obbligo di lavorare fino ad età avanzata. Si spera che per le categorie dei lavori usuranti si possa fare un eccezione; ad oggi però gli infermieri in Italia non sono stati inclusi tra essi e difficilmente lo saranno in futuro.

Saremo costretti a marciare nei reparti confondendoci con l’utenza, sarà la divisa dell’infermiere a renderci riconoscibili dal pigiama del paziente. Per ovvie ragioni, si spera, gli infermieri più anziani si occuperanno di funzioni supervisionali, manageriali, tutoriali o prescrizionali.

Nomadismo mondiale

Il mercato sposta i capitali, i capitali spostano il lavoro. Più della metà dei lavoratori sposterà la propria residenza ogni 5 anni e per ogni residenza diverse volte datore di lavoro. Le generazioni precedenti e le loro residenze saranno considerate habitat principale in cui tornare dopo ogni “avventura” professionale.

Probabilmente il riscaldamento globale renderà poco vivibili i Paesi del Sud e paradossalmente più mite e piacevole il clima dei paesi del Nord Europa, della Russia e del Canada. Saranno queste ultime le mete preferite per l’immigrazione, paesi avanzati con crescite economiche soddisfacenti.

Gli infermieri tra la classe media e la fine della Pubblica Amministrazione.

Sempre intorno al 2040 e nonostante la precarietà diffusa, gli infermieri vengono elencati da J. Attali tra le professioni lontane dalla povertà e dalla disoccupazione; in quanto “consumatori solvibili” faranno parte di quel che resta della classe media. La maggior parte di essa non avrà più un posto di lavoro fisso. Dalle sue pagine:

“…assimileranno un impiego garantito a vita a un patrimonio, e il trattamento corrispondente a una rendita. Coloro che lavoreranno per ciò che sarà rimasto dello Stato e dei suoi annessi e connessi saranno sempre meno numerosi, e il loro status diverrà sempre più precario. Costoro faranno di tutto per ritardare la decostruzione dello Stato, anche con la violenza.”

 


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Il lavoro dell’infermiere del futuro in Italia secondo Lorenzo Cavalieri: previsioni e critiche.

Nel suo “Il lavoro non è un posto“, Cavalieri spiega come deve essere considerato il mondo del lavoro. La società cerca e paga un lavoratore se questo:

  • ha una specializzazione tecnica abbastanza rara o poco diffusa per cui la domanda di mercato supera l’offerta. Quindi il lavoro dell’infermiere sarà richiesto non in base al numero più o meno alto di infermieri ma per il bisogno più o meno alto di salute da soddisfare. In condizioni di quasi saturazione o cambiamento del mercato vincerà sicuramente chi riesce a diversificare l’offerta, specializzandosi e rendendosi più appetibile per il mercato del lavoro.
  • ha la naturale capacità di ascolto dei bisogni del mondo, di creare soluzioni e prendere decisioni efficaci in contesti di incertezza. Definisce questa capacità “imprenditorialità” (caratteristica non attribuibile al solo lavoratore autonomo ma anche al dipendente). Questo perché competenze e caratteristiche simili non sono e non saranno per molto tempo replicabili da un software, macchina o robot.

Da ciò si arriva alla conclusione che le maggiori opportunità lavorative derivano dal disporre sia di specializzazioni tecniche, definite rare per il mercato, sia dalle competenze di imprenditorialità. Una posizione professionale che racchiuda queste skills garantirà stabilità, libertà e benessere economico. L’assenza di queste, quindi, precarietà e povertà.

Veniamo a noi infermieri…

Posti su due assi cartesiani specializzazione tecnica ed imprenditorialità, dove troviamo la nostra professione? Fortunatamente al di là della precarietà malpagata, ma sicuramente non al top della occupabilità. Perché? Riportiamo le parole dell’autore:

“L’infermiere specializzato conosce perfettamente cosa si deve fare per supportare un reparto di rianimazione cardiologica. Non ha però grandi margini di discrezionalità nel suo agire. Si attiene a istruzioni dei medici e del primario. Sono pochi i colleghi che hanno il suo stesso livello di competenze ed esperienze, ma quei pochi potrebbero sostituirlo perfettamente”.

Ad eccezione del relativo “Si attiene a istruzioni dei medici e del primario” per il resto tale visione è pienamente condivisibile. Qualunque infermiere che sia specializzato e abbia esperienza può essere, non senza una minima difficoltà, spostato o peggio sostituito. Ed un lavoratore sostituibile è soggetto ai capricci del mercato odierno.

Ora agganciando le previsioni dell’economista J.Attali (la morte del posto fisso e delle relative sicurezze occupazionali) a queste condizioni mi viene automatico pensare che potremmo in un futuro distopico, e speriamo mai avverato, che il lavoro dell’infermiere diverrà un inferno di risultati.

Chi di noi, in piena onestà intellettuale, può assicurarsi di essere assolutamente insostituibile? Da qualcuno più giovane, o qualcuno più anziano. Qualcuno più forte, più veloce.

Soluzioni da adottare per salvare il proprio lavoro da infermiere

Ovviamente queste non sono che previsioni: il lavoro dell’infermiere nel futuro sarà la somma di tutte le scelte dei singoli professionisti. Considerato però, che le argomentazioni portate sino a questo momento sono tutto sommato logiche, arriviamo a delle possibili conclusioni e iniziamo a ragionarci su:

Innanzitutto smettiamo di ragionare sul lavoro in quanto “posto”, ma ragioniamo in termini di “occupazione”. Il lavoratore inserito in una definita routine quotidiana che pedissequamente impiega le sue 8 ore per riprodurre tutti i giorni le stesse azioni, per quanto possa svolgerle bene, potrà un giorno essere sostituito da qualcun’altro, più lento e senza esperienza ma pagato meno, quindi più economico.

Specializzazione: per quanto possibile dobbiamo ritenere la crescita professionale e la diversificazione tecnica il passo fondamentale per affrontare i problemi del futuro.

Non basteranno più infermieri che come generiche pedine possano essere sostate da un reparto all’altro, senza che il reparto non subisca un calo di qualità. Se vi ritrovate in queste condizioni, se trasferiti ad altro reparto della vostra mancanza non ne risente nessuno, quello è il momento giusto per capire che in un possibile futuro la prossima porta che varcherete possa essere quella dell’uscita dall’ospedale.

Quindi spingere verso le competenze specialistiche non è un solo un moto di vanità professionale ma un monito di sopravvivenza.

Imprenditorialità: abbiamo già specificato che con questo termine non si intende ricollegarsi solo agli autonomi ma che anche il dipendente deve e dovrà farsi carico di maggiori responsabilità, individuando problemi e proponendo soluzioni efficaci, creando così miglioramento nel servizio e valore aggiunto. Con questo termine si intende la tendenza del dipendente a dimostrare attaccamento all’azienda e al proprio servizio.

Empatia: proprio così, empatia. Di certo non dobbiamo tornare ad una visione missionaria della professione. Con molta fatica ci stiamo lasciando dietro l’immagine di “angelo custode”, causa di politiche scellerate di demansionamento e sfruttamento del personale.

Ma questo non vuol dire abbandonare una qualità che in futuro possa presupporre la salvezza dall’eventuale disoccupazione tecnologica. L’empatia è quella qualità umana che nessun robot o software può sostituire.

In un mondo dove si prospetta una presenza pervasiva di figure robotiche, la presenza di un altro essere umano empatico in un momento difficile come quello della malattia e del bisogno sarà estremamente necessario e indispensabile.

Consideriamo la perdita di status quo dei medici: nella società odierna, nonostante il medico sia una delle professioni con maggiore specializzazione tecnica e competenza di imprenditorialità, è proprio il rimprovero di una lamentata assenza di empatia ed il progressivo distacco dal paziente (dalla fine del paternalismo medico e l’inizio dell’approccio autodeterministico) che ha innescato quel processo di inasprimento del rapporto medico-paziente, che porta troppo spesso a denunce e incomprensioni. Non siamo ancora arrivati a questo.

Per riassumere:

Nel mondo del futuro tutti i lavori senza valore aggiunto saranno sostituiti da software o robot. Verranno privatizzati tutti i servizi pubblici e di conseguenza non ci sarà più il cosiddetto posto fisso.

La competizione tra i dipendenti sarà altissima. Lavoreremo fino ai settant’anni. Ci sposteremo intorno al mondo con una frequenza di 5 anni alla volta. Gli infermieri faranno ancora parte della classe media.

Dunque, per sopravvivere a tutto questo saranno necessari: specializzazione tecnica, empatia e competenze imprenditorialiPoteva andare peggio!

O forse no!

Forse questi esperti sociologi si sbagliano e io mi sono sbagliato a prendere sul serio queste loro previsioni e considerazioni, disturbando inutilmente i nostri tranquilli sonni di serenità e facendo solo meri esercizi di complottismo.

Magari non cambierà nulla e continueremo a combattere le stesse battaglie di sempre, ma concedetemi un minuto di riflessione e la possibilità di porvi un’ultima domanda: e se avessero ragione loro?

Autore: Dario Tobruk 

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