Perché l’infermiere in Italia non usa l’ecografo durante la sua assistenza?

Dario Tobruk 05/07/21
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Perché in Italia l’infermiere ha così tanta paura ad usare l’ecografo durante la sua pratica clinico-assistenziale? Non ci riferiamo esclusivamente all’uso dell’ecografia infermieristica che in quanto tale, dovrebbe essere già una pratica assodata, ma dell’impiego quotidiano per rilevare segni clinici e informazioni fondamentali sia per l’assistenza infermieristica sia per la clinica medica. Solo in Italia e in pochi altri paesi avanzati al mondo luso dell’ecografo è di quasi esclusivo dominio medico. Quello che andrebbe definito come un semplice apparecchio medicale, come molti altri usati normalmente da infermieri e altri professionisti sanitari, è invece occulto alla maggioranza degli infermieri. Pochi colleghi, infermieri coraggiosi e audaci sono riusciti a trovare in questo strumento una propria dimensione lavorativa, i cardiac sonographer e i membri del PICC team lo usano ogni giorno per contribuire con le loro competenze agli obiettivi di salute dei pazienti.

Il ritardo in Italia sull’uso dell’ecografia nell’assistenza infermieristica

La letteratura scientifica è in fermento: ogni volta che è stato reso necessario farlo, l’infermiere è stato in grado di padroneggiare la metodica ecografica per il beneficio dell’assistenza nel suo complesso. Ramos(2014) concorda sul fatto che gli infermieri, in area critica soprattutto, dovrebbero utilizzare metodiche diagnostiche sicure e non invasive come l’ecografia. Ma per far sì che ciò avvenga è necessario instillare nel professionista italiano il dubbio che il mancato uso di questo strumento sia una grave onta da recuperare.

Guida al monitoraggio in Area Critica

Il monitoraggio è probabilmente l’attività che impegna maggiormente l’infermiere qualunque sia l’area intensiva in cui opera.Non può esistere area critica senza monitoraggio intensivo, che non serve tanto per curare quanto per fornire indicazioni necessarie ad agevolare la decisione assistenziale, clinica e diagnostico-terapeutica, perché rilevando continuamente i dati si possono ridurre rischi o complicanze cliniche.Il monitoraggio intensivo, spesso condotto con strumenti sofisticati, è una guida formidabile per infermieri e medici nella cura dei loro malati. La letteratura conferma infatti che gli eventi avversi, persino il peggiore e infausto, l’arresto cardiocircolatorio, non sono improvvisi ma solitamente vengono preannunciati dal peggioramento dei parametri vitali fin dalle 6-8 ore precedenti.Il monitoraggio è quindi l’attività “salvavita” che permette di fare la differenza nel riconoscere precocemente l’evento avverso e migliorare i risultati finali in termini di morbilità e mortalità.Riconosciuto come fondamentale, in questo contesto, il ruolo dell’infermiere, per precisione, accuratezza, abilità nell’uso della strumentazione, conoscenza e interpretazione dei parametri rilevati, questo volume è rivolto al professionista esperto, che mette alla prova nelle sue conoscenze e aggiorna nel suo lavoro quotidiano, fornendo interessanti spunti di riflessione, ma anche al “novizio”, a cui permette di comprendere e di utilizzare al meglio le modalità di monitoraggio.   A cura di:Gian Domenico Giusti, Infermiere presso Azienda Ospedaliero Universitaria di Perugia in UTI (Unità di Terapia Intensiva). Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche. Master I livello in Infermieristica in anestesia e terapia intensiva. Professore a contratto Università degli Studi di Perugia. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane ed internazionali. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.Maria Benetton, Infermiera presso Azienda ULSS 9 di Treviso. Tutor Corso di laurea in Infermieristica e Professore a contratto Università degli Studi di Padova. Direttore della rivista “SCENARIO. Il nursing nella sopravvivenza”. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.

a cura di Gian Domenico Giusti e Maria Benetton | 2015 Maggioli Editore

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Come autore dell’articolo, posso dichiarare che mi sto impegnando per spingere questo strumento tra le mani dell’infermiere. Sicuramente una prima fase di questo progetto di divulgazione è quello di puntare sull’autoapprendimento. Gli studi sono ancora ambigui sull’efficacia di questo strumento (non sul fatto che l’infermiere possa apprendere la metodica), alcuni confermano risultati al pari dei corsi tradizionali (Fuchs, 2018), frontali con esercitazione, altri autori la ritengono non sufficiente per padroneggiarla (Mackay, 2018). Questo implica la necessità di una doppia via parallela o sequenziale di apprendimento alle basi minime per l’uso dell’ecografo. Un primo approccio teorico, a distanza o meno, e un successivo consolidamento delle basi acquisite con corsi di formazione tradizionali. Corsi in cui siano presenti operatori, medici o sonographer che siano padroni delle tecniche ecocardiografiche o, addirittura, percorsi per gli infermieri più coraggiosi, e che vogliano raggiungere le vette della carriera infermieristica nel settore, fare il tecnico di ecografia o il cardiac sonographer. Ad esempio un master universitario in tecniche ecocardiografiche o in ecografia infermieristica.

Perché in Italia gli infermieri non usano l’ecografo?

Le responsabilità di ciò sono da indagare tanto nell’indolenza infermieristica quanto nella ritrosia medica a condividere la metodica. Nonostante l’infermiere abbia dimostrato di essere in grado di aiutare nel fare clinica, padroneggiando diversi strumenti diagnostici, tra cui l’elettrocardiogramma, l’ecografia invece rimane ancora il frutto proibito sul biblico “Albero della conoscenza del bene e del male”, assolutamente da mordere al rischio di uscire da un illusorio Eden di poche responsabilità e impegno. Una decrepita convinzione da superare, soprattutto in quei luoghi di cura dove il paziente ne avrebbe più bisogno, in area critica. L’obiettivo di questo articolo è velocizzare questo passaggio e fare in modo che, al pari di altre metodiche, anch’esse in precedenza di esclusività medica, anche l’ecografia faccia parte del corpus clinico-assistenziale degli infermieri. Obiettivo ambizioso, ma che può essere costruito partendo da un primo, timido, approccio ecografico, ritenuto a mio avviso perfettamente adottabile da parte dell’infermiere senza il rischio di cadere nell’abuso di professione medica: stimare la pressione venosa centrale attraverso l’ecografo. Approccio in realtà pienamente ascrivibile al campo dell’ecografia infermieristica (Sun, 2020) e che aiuta l’infermiere a prendere coscienza del fatto di poter rispondere al proprio mandato professionale, poiché “l’infermiere garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche” (D.M. 739/94) e la rilevazione della pressione venosa centrale è propedeutico all’assistenza infermieristica quanto qualsiasi parametro vitale. In merito a questo obiettivo voglio evidenziare un mio precedente lavoro di docenza per la Metmi srl, attraverso il programma ECM Infermiere Online Critical Care 2021, in cui ho avuto il piacere di aprire il percorso annuale con la lezione: “Monitoraggio non invasivo della PVC in area Intensiva tramite ecocardiografia“.

Cosa succede dove gli infermieri usano l’ecografo?

Nel resto del mondo, l’infermiere possiede competenze ecografiche per la valutazione rapida del paziente con traumi toraco-addominali (González, 2019). Competenze ben più complesse di quelle necessarie per la stima di una PVC e di certo, spese in ambienti più accoglienti nei confronti delle istanze di crescita professionale della figura infermieristica. In contesti difficili come quelli recenti a Pechino, durante la pandemia Covid-19, il personale infermieristico è stato invitato a conoscere e impiegare l’ecografo per la propria assistenza infermieristica, i risultati sono stati incoraggianti. Procedure e valutazioni di responsabilità infermieristica possono essere facilitate, guidate ed avvalorate attraverso l’uso dell’ecografo: dal semplice rilevamento di un accesso venoso alla difficile valutazione dei tessuti polmonari nei pazienti colpiti da Covid-19 (Sun, 2020). In questa immagine tutte le procedure infermieristiche che possono essere validate dall’ecografo: Econurse Ultrasound-guided nursing procedures and assessment in critical care. (CC BY 4.0) https://ccforum.biomedcentral.com

Nei contesti rurali dei territori sterminati dell’Australia, dove non ci sono sufficienti nefrologi, gli infermieri nei reparti di emodialisi, si ritrovano spesso a prendere decisioni critiche sul proseguimento o meno del trattamento emodialitico. L’uso di metodi approssimativi per stabilire il bisogno di ultrafiltrazione può comportare un aumento della probabilità di eventi avversi, sia in eccesso che in difetto. Tale condizione ha richiesto agli infermieri la necessità di affidarsi ad un metodo rapido e non invasivo per la valutazione del volume dei liquidi e la stima della pressione venosa centrale nei pazienti in emodialisi, come l’ecografia. Steinwandel (2017b) ha dimostrato che gli infermieri sono in grado di ottenere stime attendibili e dati oggettivi sulla volemia del paziente in dialisi; il ricercatore stesso però, in un ulteriore revisione sistematica della letteratura scientifica sull’argomento, afferma che sono necessari ulteriori studi per convalidare l’ipotesi che l’infermiere possa sostituire completamente un esperto ecografista (Steinwandel, 2017a).

Conclusione

In Italia la situazione è chilometri indietro. Sul nostro territorio sono davvero pochi gli infermieri che hanno intuito quanto sia significativo approcciarsi alla giovane arte dell’ecografia (del Mestre, 2009). L’uso dell’ecografo è alla portata di quei professionisti sanitari che con un minimo di dedizione e impegno vogliano superare i propri limiti. La differenza tra un medico e un infermiere nella pratica ecografica risiede nel supportare la propria decisionalità diagnostica e terapeutica il primo, e rilevare un dato clinico e collaborare a realizzare lo scopo medico il secondo. Per ritrovarsi, ancora una volta, attorno allo stesso mandato professionale: la cura e il prendersi cura del paziente.

Autore: Dario Tobruk (Profilo Linkedin)

Fonti scientifiche:

  • Ramos LM. Cardiac diagnostic testing: what bedside nurses need to know. Crit Care Nurse. 2014 Jun;34(3):16-27; quiz 28. doi: 10.4037/ccn2014361. PMID: 24882826.
  • Fuchs L, Gilad D, Mizrakli Y, Sadeh R, Galante O, Kobal S. Self-learning of point-of-care cardiac ultrasound – Can medical students teach themselves? PLoS One. 2018 Sep 27;13(9):e0204087. doi: 10.1371/journal.pone.0204087. PMID: 30260977; PMCID: PMC6160010.
  • Mackay FD, Zhou F, Lewis D, Fraser J, Atkinson PR. Can You Teach Yourself Point-of-care Ultrasound to a Level of Clinical Competency? Evaluation of a Self-directed Simulation-based Training Program. Cureus. 2018 Sep 17;10(9):e3320. doi: 10.7759/cureus.3320. PMID: 30473953; PMCID: PMC6248742.
  • Steinwandel U, Gibson N, Towell A, Rippey JJR, Rosman J. Can a renal nurse assess fluid status using ultrasound on the inferior vena cava? A cross-sectional interrater study. Hemodial Int. 2018 Apr;22(2):261-269. doi: 10.1111/hdi.12606. Epub 2017 Oct 11. PMID: 29024379.
  • Steinwandel U, Gibson NP, Rippey JC, Towell A, Rosman J. Use of ultrasound by registered nurses-a systematic literature review. J Ren Care. 2017 Sep;43(3):132-142. doi: 10.1111/jorc.12191. Epub 2017 Jan 25. PMID: 28120381.
  • del Mestre L, Compassi R, Badano LP, Monti ML, Ciani R, Buiese S, Gianfagna P, Fioretti PM. I tecnici di ecocardiografia: una realtà dei soli paesi anglosassoni? L’esperienza di un laboratorio italiano in cui sono attivi dal 1984 [Cardiac sonographers: a unique reality in Anglo-saxon countries? The experience of an Italian echo-lab which is employing them since 1984]. G Ital Cardiol (Rome). 2006 Dec;7(12):798-808. Italian. PMID: 17294604. Link
  • D.M. 739/94 Profilo professionale Infermiere

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