Referto ecocardiografico: Com’è fatto? Cosa dovrei aspettarmi?

Dario Tobruk 05/02/20
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Sei ti stai chiedendo com’è fatto un referto ecocardiografico in questo articolo avrai tutte le risposte che cerchi. Non si pensa mai a quanto sia importante conoscere a fondo lo strumento principale con cui sia i medici sia gli infermieri orientano la propria peculiare attività clinico-assistenziali in moltissimi reparti e luoghi di cura, il referto. Nello specifico è fondamentale poter rispondere almeno alle seguenti due domande quando ci approcciamo a questo documento:

  • Che cos’è un referto ecocardiografico?
  • Quali informazioni mi dovrei aspettare di trovare?

Che cosa è il referto ecocardiografico?

Referto, dal latino referre ovvero riferire, è un atto scritto, ufficiale e definitivo con cui vengono trasmessi i risultati di un esame. È una sintesi, revisionata da uno specialista della metodica e da lui validata per mezzo di una firma autografa, delle informazioni a cui è giunto a conclusione. Non è un semplice rilevare reperti o dati, difatti: “Il reperto diventa referto in seguito all’interpretazione del medico che lo carica di significato informativo” (Angelo Burlina, 1982).

Nello specifico del caso ecocardiografico: “assicurarsi che i dati morfofunzionali raccolti con l’ecografia cardiovascolare siano comunicati in maniera chiara ed efficace ai clinici che utilizzeranno tali informazioni per la gestione dei pazienti. Lo strumento principale (e legalmente valido) per la comunicazione di tali dati è il referto scritto dell’esame ecocardiografico.“(1).

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Una mancata standardizzazione del referto in ecocardiografia porta a eccessiva variabilità tra esami di diversi laboratori o, addirittura, provenienti dallo stesso laboratorio ma eseguito da operatori diversi. Il peggior limite, è non riuscire a confrontare l’evoluzione dello stato clinico del paziente in momenti diversi e di rendere perciò gli esami non utilizzabili da parte di medici non ecocardiografisti. Clinici che rischierebbero di prendere decisioni terapeutiche errate sulla base di confusione e incertezza emersa dalle differenze dei referti.

Quali informazioni mi dovrei aspettare di trovare nel referto ecocardiografico?

È possibile aspettarsi di trovare le stesse informazioni in tutti i referti, a prescindere dalla loro provenienza? Secondo la SIECVI, la principale società scientifica del settore, è possibile e auspicabile in quanto il referto dell’ecocardiogramma è costituito essenzialmente da misure numeriche, descrizioni morfologiche in un certo qual modo ripetitive, valutazioni, dati e stime. In una certa misura, è tutto codificabile in sistemi di refertazione standard.

Secondo le principali società scientifiche internazionali, tra cui anche quella italiana, il referto dovrebbe:

  • essere leggibile, completo, informativo e standardizzato;
  • corretto nella forma e nel contenuto tecnico;
  • fornire informazioni: non ambigue, interpretabili e clinicamente utili.

Inoltre, dovrebbe possedere tre caratteristiche fondamentali, irrinunciabili per discriminare un referto ecocardiografico ideale da un’informazione qualunque scritta in un foglio qualunque:

  1. Dati generali del paziente e dell’esame.
  2. Descrizione morfologica e parametri funzionali delle varie strutture.
  3. Conclusioni diagnostiche.

Guida al monitoraggio in Area Critica

Il monitoraggio è probabilmente l’attività che impegna maggiormente l’infermiere qualunque sia l’area intensiva in cui opera.Non può esistere area critica senza monitoraggio intensivo, che non serve tanto per curare quanto per fornire indicazioni necessarie ad agevolare la decisione assistenziale, clinica e diagnostico-terapeutica, perché rilevando continuamente i dati si possono ridurre rischi o complicanze cliniche.Il monitoraggio intensivo, spesso condotto con strumenti sofisticati, è una guida formidabile per infermieri e medici nella cura dei loro malati. La letteratura conferma infatti che gli eventi avversi, persino il peggiore e infausto, l’arresto cardiocircolatorio, non sono improvvisi ma solitamente vengono preannunciati dal peggioramento dei parametri vitali fin dalle 6-8 ore precedenti.Il monitoraggio è quindi l’attività “salvavita” che permette di fare la differenza nel riconoscere precocemente l’evento avverso e migliorare i risultati finali in termini di morbilità e mortalità.Riconosciuto come fondamentale, in questo contesto, il ruolo dell’infermiere, per precisione, accuratezza, abilità nell’uso della strumentazione, conoscenza e interpretazione dei parametri rilevati, questo volume è rivolto al professionista esperto, che mette alla prova nelle sue conoscenze e aggiorna nel suo lavoro quotidiano, fornendo interessanti spunti di riflessione, ma anche al “novizio”, a cui permette di comprendere e di utilizzare al meglio le modalità di monitoraggio.   A cura di:Gian Domenico Giusti, Infermiere presso Azienda Ospedaliero Universitaria di Perugia in UTI (Unità di Terapia Intensiva). Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche. Master I livello in Infermieristica in anestesia e terapia intensiva. Professore a contratto Università degli Studi di Perugia. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane ed internazionali. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.Maria Benetton, Infermiera presso Azienda ULSS 9 di Treviso. Tutor Corso di laurea in Infermieristica e Professore a contratto Università degli Studi di Padova. Direttore della rivista “SCENARIO. Il nursing nella sopravvivenza”. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.

a cura di Gian Domenico Giusti e Maria Benetton | 2015 Maggioli Editore

15.00 €  14.25 €

Dati generali dal paziente e dell’esame

Come per ogni documento che abbia la pretesa d’informare qualcuno sullo stato clinico del paziente, deve contenere tutti i dati generici (nome, cognome, codice identificativo, data di nascita) e biometrici (età, peso, altezza, BMI,ecc…) utili allo scopo, oltre a data di esecuzione dell’esame, dati clinici, parametri vitali come ritmo e frequenza cardiaca. Quali metodiche sono state usate e che tipo di esame è stato eseguito (ecocardiogramma transtoracico, transesofageo, ecostress fisico o farmacologico, ecc…). La qualità dell’esame e delle immagini dovrebbe essere definita nei seguenti gradi: buona, sufficiente, scadente, inadeguata. Ultimo ma non meno importante, necessario all’ecografista o al sonographer per contestualizzare lo scopo dell’esame, l’indicazione clinica o il sospetto clinico da dissipare e per cui l’esame è stato richiesto.

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referto ecocardiografico
Dati generali del paziente nel referto ecocardiografico

Descrizione morfologica e parametri funzionali delle varie strutture

In questa parte dovrebbero essere sempre presenti le descrizioni morfologiche delle anomalie riscontrate, funzioni e parametri quanti-qualitativi delle varie strutture cardiovascolari. Le seguenti strutture cardiache dovrebbero essere sempre contenute e valutate anche se rilevate normali, al fine di garantire un monitoraggio seriale dell’evoluzione clinica del paziente (nei link articoli di anatomia cardiaca):

Ogni anomalia riscontrata deve essere definita per morfologia (dilatazione, ipertrofia, stenosi, ecc…), secondo severità emodinamica in tre gradi: lieve, moderata, severa.

Referto ecocardiografico
Descrizioni morfologiche delle anomalie riscontrate

Conclusioni diagnostiche nel referto ecocardiografico

Le conclusioni in un referto medico devono rispondere (o provare a farlo) al quesito diagnostico e, dissipare o confermare i sospetti clinici per cui è stato richiesto l’esame. In caso di più esami, è necessario confrontare le variazioni osservate con le precedenti e segnalarle, soprattutto se significative. Non è indicato riportare nel referto ecocardiografico consigli terapeutici o indicazioni ad altri esami strumentali.

Referto ecocardiografico
Le conclusioni in un referto ecocardiografico devono rispondere al quesito diagnostico

È necessario allegare le immagini al referto testuale?

Nonostante vengano reperite immagini fisse in un esame strumentale in cui l’analisi è per lo più “dinamica” (il cuore è un organo funzionalmente in costante movimento, vedi ciclo cardiaco), è molto difficile che delle immagini in fotogrammi possano risultare esaustive e fornire più informazioni del testo.

È abitudine allegare alcune immagini quando documentano rilevazioni quantitative (ad esempio la velocità del rigurgito tricuspidalico o il diametro e l’escursione in M-Mode della vena cava inferiore) ma difficilmente immagini di masse o trombi possono aumentare il livello informativo corrente.

Guida al monitoraggio in Area Critica

Il monitoraggio è probabilmente l’attività che impegna maggiormente l’infermiere qualunque sia l’area intensiva in cui opera.Non può esistere area critica senza monitoraggio intensivo, che non serve tanto per curare quanto per fornire indicazioni necessarie ad agevolare la decisione assistenziale, clinica e diagnostico-terapeutica, perché rilevando continuamente i dati si possono ridurre rischi o complicanze cliniche.Il monitoraggio intensivo, spesso condotto con strumenti sofisticati, è una guida formidabile per infermieri e medici nella cura dei loro malati. La letteratura conferma infatti che gli eventi avversi, persino il peggiore e infausto, l’arresto cardiocircolatorio, non sono improvvisi ma solitamente vengono preannunciati dal peggioramento dei parametri vitali fin dalle 6-8 ore precedenti.Il monitoraggio è quindi l’attività “salvavita” che permette di fare la differenza nel riconoscere precocemente l’evento avverso e migliorare i risultati finali in termini di morbilità e mortalità.Riconosciuto come fondamentale, in questo contesto, il ruolo dell’infermiere, per precisione, accuratezza, abilità nell’uso della strumentazione, conoscenza e interpretazione dei parametri rilevati, questo volume è rivolto al professionista esperto, che mette alla prova nelle sue conoscenze e aggiorna nel suo lavoro quotidiano, fornendo interessanti spunti di riflessione, ma anche al “novizio”, a cui permette di comprendere e di utilizzare al meglio le modalità di monitoraggio.   A cura di:Gian Domenico Giusti, Infermiere presso Azienda Ospedaliero Universitaria di Perugia in UTI (Unità di Terapia Intensiva). Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche. Master I livello in Infermieristica in anestesia e terapia intensiva. Professore a contratto Università degli Studi di Perugia. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane ed internazionali. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.Maria Benetton, Infermiera presso Azienda ULSS 9 di Treviso. Tutor Corso di laurea in Infermieristica e Professore a contratto Università degli Studi di Padova. Direttore della rivista “SCENARIO. Il nursing nella sopravvivenza”. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.

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Cosa dice la legge in proposito?

Ad oggi non esistono disposizioni di legge per l’esame ecocardiografico, perciò viene usato come riferimento la circolare n.61 del Ministero della SalutePeriodo di conservazione della documentazione sanitaria presso le istituzioni sanitarie pubbliche e private di ricovero e cura”.

Che riporta: “[…] In analogia a quanto stabilito per le radiografie si ritiene che la restante documentazione diagnostica possa essere assoggettata allo stesso periodo di conservazione previsto per le radiografie stesse […]. Ovvero il D.M. 14/2/1997 che obbliga la conservazione a tempo indeterminato dei referti e la conservazione della documentazione iconografica per 10 anni.”

Per ovviare a questo obbligo è necessario rendere disponibile la registrazione completa dell’esame ai pazienti che devono sottoporre l’esame al medico grazie a supporto magnetico, elettronico o digitale e relativo software di visualizzazione.

Bibliografia:
  1. Società Italiana di Ecografia Cardiovascolare (SIEC). Dalla formazione degli operatori al referto. Documento di consenso sugli aspetti organizzativi dell’ecocardiografia in Italia. (G Ital Cardiol 2007; 8 (1): 49-67).

Leggi anche:

https://www.dimensioneinfermiere.it/ecostress-per-infermieri-oltre-assistenza-infermieristica/

Dario Tobruk

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