Guida completa a sintomi e trattamento del diabete mellito

Dario Tobruk 20/06/25

Il diabete mellito è una malattia cronica tra le più diffuse al mondo, è la nona causa di morte a livello globale e uccide circa 1,5 milioni di persone nel mondo ogni singolo anno.

Riconoscere i sintomi del diabete, distinguerne le forme (tipo 1, tipo 2, gestazionale) e comprenderne l’impatto sistemico è quindi fondamentale per una diagnosi precoce e una gestione efficace delle patologie diabetiche.

Questa guida completa sulla malattia diabetica esplora cause, diagnosi, trattamenti e complicanze, con un focus particolare sulle differenze cliniche e terapeutiche

Indice

Che cos’è il diabete mellito?

Il Diabete Mellito è una malattia metabolica che induce alti livelli di glicemia in seguito ad una mancata produzione di insulina (tipo 1, o giovanile, insulino-dipendente) o non responsività cellulare dovuta a insulino-resistenza (tipo 2).

L’insulina, un ormone prodotto dal pancreas, regola i livelli di glucosio nel sangue. Quando il glucosio nel sangue aumenta, il pancreas rilascia insulina che facilita il passaggio del glucosio dalle cellule sanguigne alle cellule del corpo, dove può essere utilizzato come energia o immagazzinato.

I livelli di glucosio nel sangue tendono a variare durante il giorno, aumentando dopo i pasti e poi ritornando ai livelli basali entro due ore. Nei soggetti sani, i livelli di glucosio nel sangue sono generalmente compresi tra 70 e 110 mg/dl (3,9-6,1 mmol/l).

Tuttavia, quando il corpo non produce abbastanza insulina o le cellule non rispondono adeguatamente all’insulina, si verificano elevati livelli di glucosio nel sangue, causando sintomi e complicazioni associate alla malattia diabetica. La classificazione riconosciuta a livello internazionale del diabete mellito si divide in tre categorie principali:

  • Diabete mellito di tipo 1
  • Diabete mellito di tipo 2
  • Diabete gestazionale

Qual è la causa che fa venire il diabete?

L’eziologia del diabete di tipo 1, che colpisce circa il 10% delle persone con diabete e si manifesta spesso in età pediatrica o adolescenziale, è caratterizzato dalla mancanza di produzione di insulina a causa della distruzione delle cellule beta che la producono.

Questa forma richiede l’iniezione quotidiana di insulina per tutta la vita. La velocità con cui avviene la distruzione delle beta-cellule può variare, con un’insorgenza rapida nei giovani e più lenta negli adulti.

La causa esatta del diabete di tipo 1 rimane per lo più sconosciuta, ma è caratterizzata dalla presenza di anticorpi nel sangue diretti contro le cellule produttrici di insulina. Questo danno autoimmune potrebbe essere legato a fattori ambientali o genetici, che predispongono il sistema immunitario a reagire contro le cellule del pancreas.

Si ritiene che il diabete di tipo 1 sia una malattia autoimmune in cui il sistema immunitario attacca erroneamente le cellule pancreatiche, causando la progressiva distruzione di queste cellule e la conseguente mancanza di insulina.

Tra i potenziali imputati per questa reazione autoimmune sono stati ipotizzati virus, a sostanze presenti nel latte e altri agenti non infettivi.

La causa del diabete di tipo 2, invece, la forma più comune e diffusa della malattia che costituisce la maggioranza dei casi, si caratterizza per la capacità del pancreas di produrre insulina, ma con una ridotta capacità delle cellule dell’organismo di utilizzarla efficacemente.

Questa forma di diabete solitamente si sviluppa in età adulta e presenta diversi fattori di rischio, tra cui una storia familiare di malattia diabetica, scarsa attività fisica, sovrappeso e appartenenza a specifiche etnie.

Il diabete di tipo 2 spesso non viene diagnosticato per molti anni poiché l’iperglicemia si sviluppa gradualmente e può passare inosservata fino a quando non riscontrata durante un controllo medico sporadico. Il rischio di sviluppare questa malattia aumenta con l’età, l’obesità e la mancanza di attività fisica.

Infine, il diabete gestazionale è caratterizzato dalla manifestazione mai riscontrata prima di un elevato livello di glucosio nel sangue durante la gravidanza, situazione che coinvolge circa il 4% delle gestanti.

Indipendentemente dal tipo di trattamento necessario, che possa riguardare solo l’alimentazione o richiedere l’uso di insulina, questa condizione implica una sorveglianza più frequente sia per la madre che per il feto. Il diabete gestazionale è, infatti, una forma di malattia diabetica reversibile e in genere si interrompe alla fine della gravidanza, ma il suo esordio è il segno di una predisposizione al diabete di tipo 2 e andrebbe monitorato nel tempo.

Quali sono i sintomi del diabete mellito?

Iperglicemia
I sintomi tipici del diabete, in comune tra le varie tipologie, sono tutti correlate allo stato di iperglicemia, come l’eccessiva sete (polidipsia), l’aumento della diuresi (poliuria) e l’aumento dell’appetito (iperfagia).

Quando i livelli di glucosio nel sangue superano i 160-180 mg/dl (8,9-10,0 mmol/l), si verifica la presenza di glicosuria. Con un ulteriore aumento dei livelli di glucosio nelle urine, i reni iniziano a espellere una maggiore quantità di acqua per diluire l’eccesso di glucosio.

Questo porta a un aumento della diuresi e conseguente e intensa sete. A causa della perdita eccessiva di calorie attraverso le urine, le persone affette da malattia diabetica possono sperimentare una significativa perdita di peso e spesso avvertono un aumento dell’appetito per compensare questa perdita.

Quando i livelli di glicemia raggiungono valori estremamente elevati, si verifica un rischio di coma iperglicemico iperosmolare non chetosico, che è tipico del diabete di tipo 2.

Quando la glicemia supera i 500-600 mg/dl, il sangue diventa iperosmolare, causando la richiamata di liquidi intracellulari dai tessuti, incluso il tessuto cerebrale, il che può portare al coma.

Questo processo impedisce il riassorbimento dei liquidi, compresi quelli renali, causando una significativa diuresi osmotica, accompagnata dalla perdita di elettroliti e una grave disidratazione sistemica.

Oltre al danneggiamento cerebrale, si verifica una compromissione significativa della funzionalità cardiaca, sia a causa della grave ipovolemia sia della carenza di potassio, che può portare a disturbi del ritmo cardiaco.

Nel lungo termine, uno stato di persistente iperglicemia ha l’effetto di ispessire le pareti dei capillari e aumentare la densità del sangue, il che può portare alla formazione di piccole crepe nei vasi sanguigni più sottili.

Questa condizione danneggia i vasi sanguigni, restringendoli e limitando così il flusso sanguigno. Dato che questo processo coinvolge tutti i vasi sanguigni del corpo, le complicanze legate al diabete possono riguardare diversi organi, tra cui il cervello (con il rischio di ictus), gli occhi (con la retinopatia diabetica che può portare alla cecità), il cuore (con il rischio di attacco cardiaco), i reni (con la nefropatia diabetica che può causare malattia renale cronica), e i nervi (con la neuropatia diabetica che spesso si manifesta con una riduzione della sensibilità, soprattutto agli arti inferiori). Inoltre, i livelli elevati di glucosio nel sangue possono compromettere il sistema immunitario, rendendo i pazienti con questa malattia metabolica più suscettibili alle infezioni batteriche e micotiche.

Ipoglicemia
L’ipoglicemia rappresenta l’opposto dell’iperglicemia, in cui il livello di glucosio nel sangue è insufficiente per sostenere le funzioni cellulari essenziali, inclusa quella cerebrale e cardiaca, portando a possibili complicazioni a livello cardiaco o neurologico.

Il tessuto cerebrale, in particolare, dipende in gran parte dal glucosio come fonte primaria di energia, poiché non può utilizzare altre fonti e non è influenzato dall’insulina per l’immagazzinamento del glucosio.

Di conseguenza, un episodio ipoglicemico rappresenta una condizione di grave carenza nutrizionale per il cervello, potenzialmente portando a gravi complicazioni come il coma ipoglicemico.

Nel diabetico un’ipoglicemia può essere dovuta ad un’erronea dose di insulina, una carente alimentazione o a un’attività fisica eccessiva.

L’ipoglicemia può manifestarsi attraverso vari sintomi tra cui diaforesi (sudorazione eccessiva), nervosismo, sincope (svenimento), sonnolenza, pelle pallida, fredda ed umida, e tachicardia (battito cardiaco accelerato).

Tuttavia, è importante evidenziare che in molte situazioni, soprattutto nelle prime esperienze del paziente con i sintomi dell’ipoglicemia, questi potrebbe non essere consapevole del proprio stato di bassi livelli di glucosio nel sangue, a causa del mascheramento dei sintomi.

Questo mascheramento avviene in risposta a una scarica di adrenalina prodotta dall’organismo come meccanismo compensatorio per contrastare il pericoloso abbassamento dei livelli di zucchero nel sangue.

Pertanto, il paziente può passare rapidamente da uno stato di vigilanza alla perdita di coscienza a causa di questa reazione fisiologica. La gestione, l’educazione del paziente al riconoscimento tempestivo dei sintomi, del protocollo di intervento e la prevenzione dell’ipoglicemia sono fondamentali per evitare conseguenze più gravi.

Sintomi prevalenti e caratteristici nel diabete tipo 1

Chetoacidosi diabetica: in seguito al calo ponderale (l’organismo, non riuscendo a sfruttare il glucosio, metabolizza le riserve di lipidi, con rilascio correlato di corpi chetonici), il livello eccessivo di chetonemia provocherà nausea, cefalea, vomito e dolori addominali.

Il corpo, per liberarsi dai gruppi nocivi, attiverà una maggiore frequenza respiratoria e aumenterà la profondità del respiro al fine di liberarsi dell’anidride carbonica (CO2) in eccesso. Respiro patologico riscontrabile spesso nel “Respiro di Kussmaul”.

Mentre a livello renale, il glucosio impedisce il riassorbimento dell’acqua con una eccessiva diuresi osmotica con perdita di elettroliti come potassio, sodio e fosfati.

L’alito acetonico del paziente in chetoacidosi: nei pazienti affetti da chetoacidosi diabetica, possono manifestarsi sintomi e segni clinici estremamente facili da riconoscere.

Tra questi, è evidente l’alito acetonico, causato dalla presenza di acetone tra i chetoni nel sangue, che viene esalato durante la respirazione. L’esame obiettivo rivelerà segni di disidratazione e potrebbe includere una storia di recenti infezioni. La respirazione potrebbe essere alterata, con iperventilazione “Kussmaul”, e l’alito potrebbe presentare un caratteristico e sgradevole odore di frutta matura.

Inoltre, potrebbero essere presenti altri sintomi come inappetenza, tendenza alla disidratazione e calo di peso.

Come si fa a diagnosticare il diabete?

Il medico controlla i livelli di glucosio nel sangue nei soggetti con sintomi di diabete se il paziente lamenta sete, diuresi o fame eccessiva oppure se presenta disturbi che possono essere complicanze sospette della malattia diabetica.

La diagnosi del diabete implica una valutazione attenta dei livelli di glucosio nel sangue, di solito tramite un prelievo di sangue a digiuno effettuato al mattino.

Il diabete può essere diagnosticato quando i livelli di glucosio a digiuno superano i 125 mg/dl. Se i livelli di glicemia a digiuno rientrano tra 100 e 125 mg/dl, si definisce questa condizione come “anomala glicemia a digiuno“, che rappresenta uno stato pre-diabetico e un segnale di rischio per lo sviluppo futuro del diabete.

In assenza di correzione mediante terapie e un adeguato stile di vita, questa condizione può evolvere verso il diabete e le sue tipiche complicanze cardiovascolari.

Tuttavia, è anche possibile effettuare il monitoraggio dei livelli di glucosio tramite un test da curva da carico di glucosio, per valutare la risposta metabolica a intervalli prestabiliti.

È normale osservare un aumento dei livelli di glucosio nel sangue dopo i pasti a causa dell’assunzione di carboidrati, ma è importante che questi livelli non raggiungano valori eccessivamente elevati. Il test da curva da carico di glucosio consente di approfondire le situazioni di anomala risposta al glucosio e può essere utile nella diagnosi e nella gestione del diabete.

Il test orale di tolleranza al glucosio (OGTT), noto anche come curva glicemica o curva da carico, rappresenta una procedura clinica essenziale per valutare la risposta del metabolismo glucidico di un paziente a un carico di glucosio (es. 75g) in una soluzione liquida.

Questo test prevede la misurazione della glicemia a diversi intervalli temporali, solitamente consigliata a 60 minuti e obbligatoria per la diagnosi a 120 minuti, partendo da un valore di base.

Attraverso questa analisi, è possibile stabilire la presenza o l’assenza di diabete mellito conclamato o di intolleranza glucidica, una condizione pre-diabetica che segnala un rischio potenziale di sviluppo futuro del diabete.

Il test offre importanti informazioni per una diagnosi accurata e la gestione appropriata delle condizioni legate al metabolismo glucidico, contribuendo così alla prevenzione delle complicanze correlate al diabete.

Quali sono i valori normali di glicemia?

Nell’adulto sono considerati valori normali della curva glicemica inferiore a 100 mg/dl al prelievo a digiuno e inferiore a 140 mg/dl dopo due ore. Al di sopra di questi dati, i valori alterati nella curva glicemica dell’adulto e i criteri diagnostici indicano diverse particolari condizioni: 

  • al prelievo basale, a digiuno, una glicemia tra 100-125 mg/dl è suggestiva di “anomala glicemia a digiuno”;
  • a 120 minuti dal prelievo basale, una glicemia tra i 140 e i 199 mg/dl è suggestiva di “intolleranza al glucosio”;
  • a 120 minuti dal prelievo basale, una glicemia ≥ 200 mg/dl è suggestiva di diabete mellito conclamato;

Nel caso di diagnosi di insulino-resistenza, alcuni esami ematici come l’emoglobina glicata forniscono altri dati utili al clinico per suggellare la situazione clinica del paziente.

Come si può curare il diabete?

Escluse le emergenze mediche rappresentate dalla chetoacidosi diabetica e lo stato iperglicemico iperosmolare, che richiedono interventi urgenti per evitare il coma o la morte del paziente, ila cura e trattamento generale della malattia diabetica si basa prevalentemente del miglioramento dello stile di vita, sul controllo quotidiano della glicemia tramite prelievo capillare e delle complicanze e sull’assunzione di farmaci quando il solo comportamento non è sufficiente a mantenere le glicemia al di sotto dei livelli di sicurezza.

Trattamento igienico-comportamentale.
La gestione dietetica rappresenta un pilastro fondamentale nella gestione di entrambi i tipi di diabete mellito. I medici raccomandano una dieta equilibrata e stabile, essenziale per il mantenimento del peso corporeo ideale.

Coloro che assumono insulina devono prestare particolare attenzione agli intervalli tra i pasti al fine di prevenire l’ipoglicemia. È importante sottolineare che, sebbene proteine e grassi nella dieta contribuiscano al totale calorico assunto, è l’apporto di carboidrati a influenzare direttamente i livelli di glucosio nel sangue.

Le principali società scientifiche dedicate al diabete forniscono preziosi consigli dietetici. In alcuni casi, nonostante una dieta adeguata, può essere necessario l’uso di farmaci per ridurre il colesterolo e, di conseguenza, il rischio di malattie cardiache. Alcuni esperti suggeriscono l’utilizzo dell’indice glicemico per distinguere tra carboidrati ad assorbimento rapido e lento, anche se le prove a sostegno di questo approccio sono limitate.

L’attività fisica regolare, con almeno 150 minuti alla settimana suddivisi in almeno tre giorni, può contribuire a mantenere il peso sotto controllo e migliorare i livelli di glucosio nel sangue.

È importante, tuttavia, prestare attenzione ai sintomi di ipoglicemia, poiché i livelli di glucosio tendono a diminuire durante l’attività fisica. In alcuni casi, durante l’attività fisica prolungata, potrebbe essere necessario uno spuntino leggero o una riduzione della dose di insulina, o entrambe le opzioni.

Molte persone, soprattutto coloro i pazienti con diabete di tipo 2, lottano con il sovrappeso o l’obesità.

Per alcuni diabetici di tipo 2, il raggiungimento e il mantenimento del peso forma può consentire di evitare o ritardare l’uso di farmaci. La perdita di peso è particolarmente importante perché il peso eccessivo è associato a un aumento del rischio di complicanze legate all’iperglicemia.

Trattamento farmacologico
Quando la modifica dello stile di vita non è sufficiente a gestire i valori glicemici nel diabete mellito, al paziente è possibile prescrivere dei trattamenti farmacologici in base alla sua tipologia, alla condizione clinica personale, età, comorbilità e molti altri fattori in gioco. Quando le persone con diabete e sovrappeso hanno difficoltà a perdere peso attraverso dieta ed esercizio fisico, i medici possono prescrivere farmaci per la perdita di peso, alcuni dei quali possono anche avere effetti benefici sulla gestione di questo disordine endocrino e metabolico.

Nel diabete di tipo 1 la causa è una ridotta disponibilità di insulina, dovuta alla perdita, per distruzione autoimmune, delle cellule pancreatiche deputate alla produzione di questo ormone, la terapia farmacologica consiste di solito nella terapia ormonale sostitutiva, ovvero la somministrazione di insulina in quanto altre forme di terapia come gli ipoglicemizzanti orali non sono indicati.

Mentre, nel diabete di tipo 2, le principali cause sono l’insensibilità dei tessuti all’azione dell’insulina e il progressivo declino, fino alla perdita completa, della capacità propria delle cellule beta pancreatiche di produrla, in questi casi spesso l’impiego di ipoglicemizzanti orali diviene una necessità nel momento in cui il regime alimentare sano ed equilibrato, e il regolare esercizio fisico sono solo in parte efficaci.

Tipologie di insulino-terapia
L’insulina è disponibile in quattro forme principali, ciascuna con diverse velocità e durate d’azione. Le insuline ad azione rapida (es.lispro), agiscono rapidamente, raggiungendo il picco di attività in circa un’ora, durando da 3 a 5 ore. Vengono iniettate all’inizio di un pasto.

Le insuline a breve durata d’azione, come l’insulina regolare, iniziano l’effetto leggermente più lentamente e durano da 6 a 8 ore, con il picco di attività tra le 2 e le 4 ore. Si iniettano a ridosso dei pasti o secondo schema prescritto dal medico.

Le insuline ad azione intermedia, come (es. insulina isofano), iniziano a fare effetto in 0,5-2 ore, raggiungono il picco tra 4 e 12 ore e durano da 13 a 26 ore, a seconda del tipo. Possono essere utilizzate al mattino o alla sera per coprire diverse parti della giornata o della notte.

Le insuline ad azione prolungata, come la glargina, hanno un effetto limitato nelle prime ore ma forniscono copertura per 20-40 ore, a seconda del tipo.

Solitamente, l’insulina ad azione rapida e quella a breve durata d’azione sono utilizzate per i pasti, mentre le altre forme possono essere adatte per la copertura delle ore notturne o per il controllo dei livelli di glucosio durante il giorno.

Esistono anche insuline pre-miscelate e concentrate per coloro che richiedono dosi elevate di insulina. La scelta dell’insulina e del regime terapeutico dipende dalle esigenze individuali del paziente e dalle indicazioni del medico, infatti, la scelta del trattamento è un processo complesso che tiene conto di diversi fattori.

Il medico considera innanzitutto la risposta dell’organismo all’insulina prodotta naturalmente, valutando come i livelli di glucosio nel sangue aumentano dopo i pasti.

Si esamina anche la possibilità di utilizzare altri farmaci ipoglicemizzanti anziché l’insulina, tenendo conto della disponibilità del paziente a monitorare i livelli di glucosio e a regolare il dosaggio di insulina.

La frequenza delle iniezioni e la varietà delle attività quotidiane del paziente sono ulteriori fattori considerati. Inoltre, il medico valuta il rischio di sintomi di ipoglicemia (bassi livelli di glucosio nel sangue).

In alcuni casi, viene presa in considerazione la combinazione di due tipi di insulina, come una ad azione rapida e una ad azione intermedia, solitamente in una singola dose al mattino, con la possibilità di una seconda iniezione di uno o entrambi i tipi di insulina a cena o prima di coricarsi.

La scelta definitiva del regime insulinico dipende dalle caratteristiche specifiche del paziente e viene stabilita in collaborazione con il medico curante.

Cosa succede se non si cura il diabete mellito?


I sintomi dell’iperglicemia cronica spesso sono paucisintomatici, rendendo difficile una diagnosi tempestiva della malattia, e consentendo così agli effetti dannosi dei livelli elevati di glicemia di danneggiare i tessuti vascolari e nervosi in modo silenzioso. Spesso molti pazienti non si accorgono di avere il diabete, o spesso se ne accordono ma visto che non hanno sintomi preferiscono fare finta di niente.

Ma, cosa succede se non ci cura il diabete mellito? Con il tempo, prima o poi, si rischia il piede diabetico.

La principale causa dell’insorgenza del piede diabetico nei pazienti diabetici, infatti, è legata a una condizione di iperglicemia continua o frequente, caratterizzata da alti livelli di zucchero nel sangue.

Questo stato di iperglicemia può portare a gravi complicazioni vascolari e neuropatiche che colpiscono il piede e possono sfociare in ulcere, infezioni e altre patologie legate al piede diabetico. Molto difficili da curare, persino per personale esperto come i wound care specialist.

Livelli continui ed elevati di zucchero nel sangue, mantenuti per lunghi anni, conducono a danni arteriosi significativi, soprattutto a livello dei piccoli vasi sanguigni, con conseguenze devastanti per vari organi, tra cui l’ictus, gli infarti miocardici, l’angina, l’insufficienza renale e le ulcere agli arti inferiori, note come piede diabetico.

Tali alterazioni microscopiche dei tessuti sono il risultato di processi come la glicazione e lo stress ossidativo, che colpiscono i nervi, in particolare la mielina che riveste gli assoni, e le arterie, causando ispessimento della membrana basale e rigidità delle arterie fino a calcificazione.

Questi processi chimici creano legami anomali nelle proteine coinvolte, alterandone la funzionalità e rallentando il normale ricambio cellulare. Questo danno è irreversibile e colpisce in modo sistemico il sistema vascolare e nervoso, con ripercussioni sull’intero organismo.

Il diabete mellito, mantenendo persistentemente elevati i livelli di glucosio nel sangue, provoca nel lungo termine una serie di alterazioni tissutali patologiche, da semplici flitteni, che variano da semplici modifiche morfo-strutturali del piede diabetico fino a ulcerazioni profonde accompagnate da necrosi e infezioni.

Queste alterazioni possono interessare strati superficiali come l’epidermide o coinvolgere profondamente tessuti muscolari e strutture osseo-articolari. Purtroppo, in molti casi, quando altre soluzioni non sono possibili, l’amputazione di parti del piede o di tutto l’arto diventa l’unico approccio per risolvere uno stato patologico così avanzato.

Autore: Dario Tobruk  (seguimi anche su Linkedin – Facebook InstagramThreads)

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Dario Tobruk

Dario Tobruk è un infermiere Wound Care Specialist, autore e medical writer italiano. Ha inoltre conseguito una specializzazione nella divulgazione scientifica attraverso un master in Giornalismo e Comunicazione della Scienza, focalizzandosi sul campo medico-assistenziale e sull…Continua a leggere

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