Ipotensione arteriosa: gestione medico-infermieristica del paziente ipoteso

Redazione 03/05/21
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Premesso che non è possibile identificare un unico valore pressorio che definisca senza incertezze il confine inferiore della pressione arteriosa normale, occorre aggiungere che anche valori di pressione sistolica molto bassi (80- 90 mmHg) non sono necessariamente indicativi di una patologia in atto. Pertanto una ipotensione arteriosa isolata è raramente motivo di preoccupazione e non dovrebbe essere causa di accesso in Pronto Soccorso.

Esistono infatti soggetti costituzionalmente ipotesi ed altri, come i cardiopatici in trattamento cronico con vasodilatatori e/o diuretici, che possono presentare valori pressori
molto bassi pur nell’ambito di un quadro clinico stabile.

Tuttavia, in presenza di valori pressori al di sotto della norma, è comunque opportuna
una valutazione attenta delle condizioni cliniche del soggetto, perché molteplici potrebbero essere le patologie sottostanti e perché il quadro clinico potrebbe essere mimetizzato dai meccanismi riflessi di regolazione cardiovascolare attivi in un determinato contesto clinico.

Vale a questo proposito l’esempio della sincope per la quale, anche in fase di recupero spontaneo, i provvedimenti diagnostico-terapeutici da adottare sono fortemente influenzati dall’età del Pz., dalla situazione di insorgenza e dai dati clinici basali.

Queste considerazioni sono a maggior ragione valide nei pazienti con shock in fase iniziale quando l’ipotensione può essere presente o variamente mascherata dai meccanismi di compenso; in questa condizione il contesto clinico nel quale si rileva la presenza di ipotensione arteriosa (politrauma, insufficienza coronarica acuta, sepsi ecc.) aiuta nella identificazione di una condizione ben più grave e complessa.

Guida al monitoraggio in Area Critica

Il monitoraggio è probabilmente l’attività che impegna maggiormente l’infermiere qualunque sia l’area intensiva in cui opera.Non può esistere area critica senza monitoraggio intensivo, che non serve tanto per curare quanto per fornire indicazioni necessarie ad agevolare la decisione assistenziale, clinica e diagnostico-terapeutica, perché rilevando continuamente i dati si possono ridurre rischi o complicanze cliniche.Il monitoraggio intensivo, spesso condotto con strumenti sofisticati, è una guida formidabile per infermieri e medici nella cura dei loro malati. La letteratura conferma infatti che gli eventi avversi, persino il peggiore e infausto, l’arresto cardiocircolatorio, non sono improvvisi ma solitamente vengono preannunciati dal peggioramento dei parametri vitali fin dalle 6-8 ore precedenti.Il monitoraggio è quindi l’attività “salvavita” che permette di fare la differenza nel riconoscere precocemente l’evento avverso e migliorare i risultati finali in termini di morbilità e mortalità.Riconosciuto come fondamentale, in questo contesto, il ruolo dell’infermiere, per precisione, accuratezza, abilità nell’uso della strumentazione, conoscenza e interpretazione dei parametri rilevati, questo volume è rivolto al professionista esperto, che mette alla prova nelle sue conoscenze e aggiorna nel suo lavoro quotidiano, fornendo interessanti spunti di riflessione, ma anche al “novizio”, a cui permette di comprendere e di utilizzare al meglio le modalità di monitoraggio.   A cura di:Gian Domenico Giusti, Infermiere presso Azienda Ospedaliero Universitaria di Perugia in UTI (Unità di Terapia Intensiva). Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche. Master I livello in Infermieristica in anestesia e terapia intensiva. Professore a contratto Università degli Studi di Perugia. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane ed internazionali. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.Maria Benetton, Infermiera presso Azienda ULSS 9 di Treviso. Tutor Corso di laurea in Infermieristica e Professore a contratto Università degli Studi di Padova. Direttore della rivista “SCENARIO. Il nursing nella sopravvivenza”. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.

a cura di Gian Domenico Giusti e Maria Benetton | 2015 Maggioli Editore

15.00 €  14.25 €

Come gestire un’ipotensione arteriosa? E cosa bisogna sapere?

Dal punto di vista pratico la distinzione più semplice è fra:

  • Ipotensione arteriosa cronica (o costituzionale) da non considerare patologica
  • Ipotensione arteriosa acuta da cause cardiache, vascolari o nervose

Si può definire l’ipotensione arteriosa acuta come una condizione in cui si riscontrano:

  • valori pressori al di sotto della norma
  • inusuali per quel soggetto
  • insorti rapidamente
  • correlati a sintomatologia, transitoria o persistente, ma comunque di nuova insorgenza (vertigini, turbe del visus, malessere generale, cardiopalmo, sudorazione
    fredda, moderata dispnea)

Sono criteri di allarme:

  • la constatazione di una ulteriore riduzione dei valori pressori ad una seconda misurazione della pressione effettuata dopo poco tempo
  • la presenza di una caduta pressoria (> 20 mmHg) nel passaggio dal clino
    all’ortostatismo (talora con impossibilità a mantenere anche la posizione semiseduta)

Anche se, come premesso, non si può identificare un sicuro valore di riferimento per la
diagnosi di ipotensione, quello più frequentemente utilizzato è pari a 90 mmHg. Quello
di 70 mmHg è sicuramente un limite critico perché, per valori inferiori di PA sistolica,
non è assicurato, nonostante la presenza dei sistemi di autoregolazione, il mantenimento di un’adeguata perfusione cerebrale.

A questo proposito si ricorda come nei pazienti anziani o con ipertensione arteriosa i limiti inferiori dell’autoregolazione del flusso cerebrale siano mediamente più alti e, pertanto, in questi pazienti, riduzioni meno drammatiche della pressione di perfusione possono già essere sintomatiche.

In tutti i casi la presenza di valori pressori compresi fra i 70 ed i 90 mmHg di sistolica identifica una condizione meritevole di attento controllo clinico.

Eziopatogenesi dell’ipotensione arteriosa

La pressione arteriosa dipende dalle resistenze periferiche e dalla portata cardiaca; in
altri termini dai rapporti fra contenuto (volume ematico circolante) e contenente (letto
vascolare).

Ai fini della vitalità e del buon funzionamento degli organi che compongono il
nostro organismo è necessario che venga garantito un flusso ematico sufficiente alle
esigenze dei tessuti; grazie ai meccanismi di autoregolazione un flusso ematico soddisfacente può essere garantito anche in presenza di bassi valori pressori.

Questo spiega l’assenza di sintomi nei pazienti con ipotensione costituzionale o nei pazienti cardiopatici in terapia cronica con vasodilatatori e diuretici.

Nel passaggio dal clino all’ortostatismo l’attivazione simpatica (aumento della frequenza cardiaca e vasocostrizione periferica) contrasta gli effetti della gravità e garantisce il ritorno venoso, una normale portata cardiaca e il mantenimento della pressione arteriosa.

Nei pazienti con ipotensione ortostatica o affetti da gravi turbe della regolazione neurovegetativa questi meccanismi vengono meno (per effetto di simpaticectomia, neuropatia diabetica, farmaci, ecc.) e si verifica una marcata riduzione della pressione arteriosa nel passaggio dal clino all’ortostatismo che può talora accompagnarsi a sintomi secondari alla riduzione della perfusione cerebrale.

Non bisogna poi dimenticare che esistono una serie di meccanismi di controllo automaticamente avviati dal nostro organismo che possono anche correggere definitivamente la situazione o viceversa mascherarne momentaneamente la gravità. In questa fase molti sintomi sono correlati più alla reazione da stress che alla causa determinante (vedi ad esempio il cardiopalmo, la tachicardia, la sudorazione o il pallore ecc.).

Considerate le premesse fisiopatologiche l’ipotensione può essere determinata da
svariate cause che possono agire isolatamente o in combinazione fra loro. Esse sono:

  1. ipovolemia: riduzione moderata di qualsiasi origine del volume ematico circolante
    (vomito, diarrea, emorragie, dieta inadeguata, esposizione al calore o al sole, ustioni, poliuria, ecc.);
  2. vasodilatazione generalizzata: alterata distribuzione e conseguente squilibrio fra
    il volume ematico normale e l’aumentata capacità del letto vascolare (ad es. anafilassi,
    sepsi, intossicazione da farmaci, ecc.);
  3. riduzione del riempimento cardiaco: minore ritorno venoso o per ostacoli al riempimento delle camere cardiache;
  4. cause cardiache strutturali: determinanti incapacità del cuore a garantire una portata sufficiente per alterazione della frequenza (aumentata o ridotta) e/o della gittata
    sistolica (difetti di pompa, valvulopatie, ecc.).

Nell’ipotensione, a differenza dello shock, risulta conservata la “capacità del sistema
circolatorio di mantenere un’adeguata ed efficace perfusione agli organi, ai tessuti ed
alle cellule dell’organismo”.

Inchiesta Anamnestica

Tabella 1, inchiesta sulla ipotensione arteriosa

Anamnesi (rivolta al Pz. e a chi lo accompagna)

Pressione arteriosa abituale del soggetto In passato è stata più volte documentata una ridotta pressione arteriosa? A quando risale l’ultima rilevazione?
Abitudini Assunzione di alcol o droghe
Condizioni fisiologiche Gravidanza
Patologie pre-esistenti Diabete, neuropatie periferiche, cardiopatia ischemica cronica, insufficienza cardiaca, malattie
SNC, patologie gastriche o intestinali
Patologie recenti Stato febbrile, traumi, vomito e/o diarrea, interventi chirurgici, alterazioni della volemia, della
crasi ematica, degli elettroliti
Trattamento farmacologico in atto (soprattutto se
iniziato di recente)
Ipotensivi, neuro-psichiatrici, insulina, nitrati, antiaritmici, alfalitici per il trattamento dell’ipertrofia prostatica. N.B.: il 30 % circa dei soggetti di età > 65 aa. assume 3 o più farmaci ogni giorno
Condizioni ambientali Mancato apporto di liquidi; esposizione al sole o
al calore, stazionamento in ambiente caldoumido, pasto abbondante
Postura Recenti prolungati periodi di allettamento; ortostatismo prolungato, sintomatologia insorta nel passaggio clino-ortostatismo
Sintomi neurovegetativi Nausea, vomito, sudorazione, visione scura, vertigini, confusione mentale, brividi
È stata rilevata una perdita di coscienza? Se sì, di quale durata?
Eventi precedenti la comparsa di sintomatologia Ematemesi, melena, minzione, manovra di Valsalva, riso, vomito, diarrea

 

Segni dell’ipotensione arteriosa

I segni obiettivi dipendono dalla causa, dalla rapidità con cui essa ha modificato
l’omeostasi dell’organismo e dalla durata del fenomeno. Ad esempio una rapida perdita ematica fino al 15% del volume complessivo può non influenzare sostanzialmente
la pressione arteriosa ma incrementare la frequenza cardiaca oltre i 100 bpm.

Una anemizzazione di pari entità che avvenga lentamente può non modificare questo parametro. La tachicardia, peraltro, è un segno precoce ma non sempre evidente, perché
può mancare, ad es. nei pazienti anziani o in coloro che assumono farmaci come betabloccanti e calcio-antagonisti.

  • Il polso radiale. Ci permette di valutare la frequenza cardiaca e fornisce una valutazione approssimata della pressione arteriosa in condizioni di criticità. Infatti l’ampiezza del polso radiale, che dipende dalla pressione differenziale, indica grossolanamente anche i valori di pressione arteriosa: la presenza di un polso radiale percepibile è indicativa di una pressione sistolica > 80mmHg, l’assenza di polso radiale impone l’immediata ricerca del polso carotideo; la presenza di quest’ultimo, in assenza appunto del radiale, indica una PA compresa fra 50 e 80 mmHg.
  • Frequenza cardiaca (valutare se < 40 o > 150); una eccessiva bradicardia o tachicardia possono essere responsabili del calo della portata cardiaca e della conseguente ipotensione o la tachicardia può essere parte della reazione neurovegetativa di compenso.
  • Pressione arteriosa: oltre al valore basale valutare se esista anche:
    • Ipotensione ortostatica (documentata dalla caduta della pressione arteriosa > 20 mmHg o al di sotto di 90 mmHg) (quando sia possibile far assumere al paziente la posizione semiseduta o l’ortostatismo!)
    • Riduzione della PA differenziale
  • Temperatura corporea

Altri segni secondari all’attivazione simpatica, in aggiunta alla tachicardia, sono:

  • Pallore cutaneo
  • Sudorazione fredda

Possono dipendere dalla presenza di cardiopatie pre-esistenti:

  • Edemi periferici (possono riferirsi a scompenso cardiaco)
  • Turgore giugulare (può riferirsi a scompenso cardiaco)
  • Soffi cardiaci (stenosi aortica, cardiomiopatia ipertrofica)

Negli anziani, soprattutto se allettati e non autosufficienti, controllare le condizioni di idratazione:

  • Cute secca sollevabile in pliche (fronte, avambraccio)
  • Lingua secca

Segni di criticità da tenere sotto osservazione

Aumentare il grado di vigilanza se si rilevano:

  • Dispnea intensa, ipossiemia, cianosi
  • Dolore toracico (es. IMA, dissecazione aortica, embolia polmonare, stenosi aortica,
    CMPI)
  • Irregolarità del ritmo cardiaco
  • Tosse insistente
  • Dolore addominale (es. aneurisma aorta addominale in fase di rottura, gravidanza
    extra-uterina)
  • Perdita completa di coscienza anche momentanea
  • Non autosufficienza
  • Disorientamento spazio-temporale

Esami di laboratorio nel quadro di ipotensione

Pochi sono gli accertamenti laboratoristici considerati necessari. In presenza di alcuni
sospetti clinici vengono richiesti quelli sottoelencati.

Tab. 2 – Accertamenti di laboratorio

Emocromo completo Per valutare la presenza di anemizzazione
Ionogramma Per escludere severe alterazioni dell’equilibrio idro-elettrolitico
Azotemia, creatininemia Per escludere severe alterazioni renali
Glicemia Per escludere severe alterazioni metaboliche
EGA In condizioni clinicamente severe può essere utile per identificare un’acidosi metabolica (vedi shock)
Troponina Rappresenta un marker di necrosi cardiaca di elevata sensibilità e specificità. Sospetto infarto miocardico
Esame urine Per escludere patologie internistiche; es. glicosuria da diabete scompensato
D-Dimero Solo per sospetta embolia polmonare; hanno un alto potere predittivo
negativo, pertanto servono soprattutto per escludere una ipotesi diagnostica

 

Metodiche strumentali

Queste dipenderanno dal sospetto diagnostico conseguente alla raccolta dei dati
anamnestici e obiettivi; l’unico esame di routine è l’ECG standard.

Metodica Razionale per la richiesta
ECG Spesso normale. Può identificare alterazioni del tratto ST, aritmie, blocchi AV di II e III grado
Monitoraggio ECG Il monitoraggio può correlare i sintomi con la presenza di aritmie parossistiche o, viceversa, escludere una causa aritmica, quando si dimostri la presenza di normale ritmo sinusale in coincidenza con la sintomatologia
Monitoraggio Sat. O2 Solo in presenza di un quadro clinico severo in cui si sospetti un viraggio delle condizioni ovvero sia già presente una patologia strutturale cardiopolmonare
Radiografia del torace Quando esista il sospetto clinico di patologie acute toraco-polmonari
Monitoraggio PA  Utile per individuare nell’ipotensione ortostatica eventi e orari nel corso dei quali le fluttuazioni della PA sono maggiormente evidenti.
Ecocardiogramma  Sospetto clinico di patologia cardiaca acuta

 

Terapia nell’ipotensione arteriosa

Non è corretto basare la propria condotta sulla sola determinazione della pressione,
tanto più che, come detto, non è possibile identificare un valore soglia che in assoluto
distingua “normalità” e “patologia”.

Molto spesso l’ipotensione non richiede alcun provvedimento essendo sufficiente mantenere il Pz. supino o in Trendelenburg per favorire la circolazione cerebrale. La validità di questo atteggiamento non-interventista dipende dalla possibilità di escludere cause importanti alla base dell’episodio di ipotensione. Diversamente le cause scatenanti dovranno essere trattate nel modo più appropriato.

In presenza di valori di pressione sistolica compresi fra 70 e 90 mmHg o in presenza di
sintomi è necessario un trattamento tempestivo; in questi casi la rapidità dell’intervento è indispensabile e i primi 30-60 minuti sono quelli più importanti.

È prudente posizionare un accesso venoso di grosso calibro per l’eventuale terapia
infusiva. In caso di necessità di liquidi la soluzione di scelta è il Ringer lattato perché la sua
composizione di elettroliti è simile a quella del sangue; la soluzione fisiologica è una
possibile alternativa, ma se somministrata in grandi quantità può determinare ipercloremia.
L’obiettivo della somministrazione di liquidi (quando indicati) è di riportare la frequenza
cardiaca al di sotto dei 100 battiti/min. e la pressione sistolica al di sopra di 90 mmHg.

Si somministrano in bolo da 250 ml a 1.000 ml nel corso di 20 minuti.

In alcuni casi di ipotensione (forme cardiache e/o ostruttive), la somministrazione di
liquidi, non modificando i meccanismi responsabili, potrebbe avere effetti nulli o sfavorevoli. In questi casi la terapia è per quanto possibile orientata all’eliminazione della
causa o alla modifica dei fattori patogenetici in gioco.
Si somministra ossigeno solo in caso di desaturazione allo scopo di mantenere la
saturazione intorno al 97-98%.

Una esigenza fondamentale è quella di identificare i Pz. con patologie severe e, all’interno di questi ultimi, stratificare i livelli di rischio allo scopo di predisporre i percorsi
diagnostici e terapeutici più adatti.

Nei pazienti critici nei quali il rilievo di ipotensione (o di progressiva riduzione dei valori
pressori) potrebbe preludere all’insorgenza di uno stato di shock è indispensabile impostare il monitoraggio dei valori pressori, della frequenza cardiaca e della saturimetria
cercando di identificare precocemente i segni di ipoperfusione tissutale.

Piano assistenziale nel paziente ipotensivo

Il piano assistenziale si caratterizza quindi per:

  • Correzione di problematiche evidenti (in particolare ipovolemia)
  • Mantenimento di un elevato grado di controllo segnalando:
    • Bradicardia molto marcata < 45 b.p.m. (eventuale blocco alto grado)
    • Tachiaritmia molto marcata >150 b.p.m (anche se a complessi stretti)
    • Dispnea, turgore giugulari
    • Modifiche del sensorio
    • Alterazioni del tratto ST
    • Desaturazione
    • Variazione del pH
  • Avvio degli accertamenti, per la ricerca dicause clinicamente severe e modificabili (emorragie, ipovolemie, effetti farmacologici avversi, blocchi AV, intossicazioni acute, ecc.)

Bibliografia

  • DALLA VOLTA S., Manuale delle malattie del cuore e dell’aorta, Mc Grawh-Hill, Milano, 1992

Questo capitolo è tratto dal volume “Medicina d’urgenza per l’infermiere – Percorsi clinici ed assistenziali” a cura di Mario Marzaloni – ed. Maggioli – Fuori produzione.

Guida al monitoraggio in Area Critica

Il monitoraggio è probabilmente l’attività che impegna maggiormente l’infermiere qualunque sia l’area intensiva in cui opera.Non può esistere area critica senza monitoraggio intensivo, che non serve tanto per curare quanto per fornire indicazioni necessarie ad agevolare la decisione assistenziale, clinica e diagnostico-terapeutica, perché rilevando continuamente i dati si possono ridurre rischi o complicanze cliniche.Il monitoraggio intensivo, spesso condotto con strumenti sofisticati, è una guida formidabile per infermieri e medici nella cura dei loro malati. La letteratura conferma infatti che gli eventi avversi, persino il peggiore e infausto, l’arresto cardiocircolatorio, non sono improvvisi ma solitamente vengono preannunciati dal peggioramento dei parametri vitali fin dalle 6-8 ore precedenti.Il monitoraggio è quindi l’attività “salvavita” che permette di fare la differenza nel riconoscere precocemente l’evento avverso e migliorare i risultati finali in termini di morbilità e mortalità.Riconosciuto come fondamentale, in questo contesto, il ruolo dell’infermiere, per precisione, accuratezza, abilità nell’uso della strumentazione, conoscenza e interpretazione dei parametri rilevati, questo volume è rivolto al professionista esperto, che mette alla prova nelle sue conoscenze e aggiorna nel suo lavoro quotidiano, fornendo interessanti spunti di riflessione, ma anche al “novizio”, a cui permette di comprendere e di utilizzare al meglio le modalità di monitoraggio.   A cura di:Gian Domenico Giusti, Infermiere presso Azienda Ospedaliero Universitaria di Perugia in UTI (Unità di Terapia Intensiva). Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche. Master I livello in Infermieristica in anestesia e terapia intensiva. Professore a contratto Università degli Studi di Perugia. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane ed internazionali. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.Maria Benetton, Infermiera presso Azienda ULSS 9 di Treviso. Tutor Corso di laurea in Infermieristica e Professore a contratto Università degli Studi di Padova. Direttore della rivista “SCENARIO. Il nursing nella sopravvivenza”. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.

a cura di Gian Domenico Giusti e Maria Benetton | 2015 Maggioli Editore

15.00 €  14.25 €

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